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Quanto resterà Merkel al governo? Una risposta tedesca e una europea

Andrea Affaticati

Al Congresso della Cdu si decide la successione. I tre contendenti e l’esito delle elezioni dell’Ue

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Milano. Alla fine della settimana prossima, il 7 e l’8 dicembre, ad Amburgo si terrà il congresso dei cristianodemocratici tedeschi, che riguarda non soltanto il futuro della Germania post Merkel, ma anche tutti noi. Stando agli ultimi sondaggi, Annegret Kramp-Karrenbauer è in testa al terzetto di candidati che si contendono la guida della Cdu (anche se di fatto è ormai un duo). AKK, come viene spesso chiamata per comodità, è la favorita della cancelliera tedesca: le due dame sembrano perseguire una strategia politica piuttosto simile.

 

“Si è vero, il rapporto tra loro due è buono”, dice al Foglio Martin Bialecki, direttore del periodico Internationale Politik, edito dal think tank Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik. “Ma che Kramp-Karrenbauer abbia superato Friedrich Merz, l’altro candidato, dato fino a poco tempo fa per favorito, è dovuto innanzitutto al fatto, di non aver ancora commesso grandi errori”. A ben vedere nemmeno Jens Spahn, attuale ministro per la Salute e terzo nella corsa, ha fatto passi falsi, ma probabilmente è la giovane età che lo sta penalizzando, così come una retorica un po’ troppo d’arrembaggio e conservatrice. “Quando Spahn dice di volersi riprendere gli elettori della Cdu passati al partito nazionalista Alternative für Deutschland (Afd), attuando una politica decisamente conservatrice, lascia molti perplessi”. Infine c’è Merz, del quale si dice abbia peccato di supponenza: non piace quel suo atteggiarsi a salvatore del partito e della patria. E ha commesso un paio di errori: il più grave è stato quello di mettere in discussione il diritto d’asilo come scritto nella Costituzione tedesca.

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Secondo Merz sarebbe troppo generoso, e sicuramente più di quello europeo. “Un’interpretazione sbagliata e lui, in quanto giurista, dovrebbe saperlo”, spiega Bialecki. Ma questo dibattito mette in luce quella contraddittorietà che caratterizza la base cristianodemocratica, che da una parte si contesta la politica troppo centrista di Angela Merkel, dall’altra si mostra refrattaria a una sterzata veramente conservatrice. “Un dilemma che non è nuovo per il partito. La Cdu si è sempre trovata in questa situazione di tensione estrema”, osserva Bialecki: “Da una parte, c’è l’ala conservatrice con anche elementi radicali –Franz Josef Strauss, il capo della Csu, usava dire: ‘Alla destra dell’Unione non ci deve essere posto per nessuno’ – dall’altra, c’è l’ala più sociale e progressista”. In questo dibattersi non va poi dimenticato il grande cambiamento che il partito ha conosciuto nel corso di questi 18 anni sotto la guida di Merkel. La Cdu è diventata più moderna, più aperta, si è liberata di un certo provincialismo ed è diventata – per convinzione e calcolo politico di Merkel – più social-liberale.

La settimana prossima i delegati cristianodemocratici decideranno la successione della cancelliera: la Akk garantisce una continuità con il passato e anche un futuro più tranquillo per Merkel. Con Merz (o Spahn) sarebbe il contrario. Se poi alle europee vincono i nazionalisti potrebbe cambiare tutto

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Bisogna ora vedere che cosa voteranno i 1.001 delegati al congresso. La vittoria più auspicabile, almeno per Bruxelles, sarebbe quella di Kramp-Karrenbauer, perché garantirebbe la permanenza di Merkel alla guida del paese. “Se invece dovesse vincere Merz o addirittura Spahn, non penso che Merkel abbia voglia di battagliare più di tanto con loro o farsi dettare la linea politica”, dice Bialecki. A meno che alle elezioni europee di maggio, per esempio, i partiti nazionalisti portino a casa un risultato ben superiore a quel dieci per cento , che viene attualmente loro pronosticato. “Anche uno scenario simile potrebbe spingere Merkel a restare fino alla fine del mandato”. In quel caso si troverebbe anche un modo di civile convivenza con Merz, il quale in passato si è espresso a favore di una maggior integrazione europea. Ciò nonostante, per Bruxelles resta Merkel “una delle poche garanzie, visto che di politici di rango convintamente europei e disposti a lottare per tenere insieme questa Unione europea se ne contano sempre meno”, fa notare Bialecki. Per Merkel restare potrebbe essere l’ ultimo tributo a quella che per lei (anche alla luce della sua precedente vita nella Ddr) è sempre stata l’Ue: una magnifica costruzione di pace e libertà da difendere a tutti i costi.

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A conferma di questa tesi, Bialecki dice che la Kanzlerin negli ultimi tempi si è mostrata più assertiva e meno preoccupata di soppesare parole e dichiarazioni. Tra gli esempi più recenti c’è il suo discorso davanti al Parlamento europeo. In quell’occasione si è apertamente espressa a favore di un esercito europeo, come proposto dal capo di stato francese Emmanuel Macron. E ancora, senza citare apertamente l’Italia, ha tenuto a sottolineare che chi fa parte di un’unione deve rispettarne le regole. Merkel potrebbe fare anche di più. “Potrebbe, addirittura, come ultimo gesto pro Europa, appoggiare l’idea di Macron di un’unione fiscale”. Una dimostrazione di coraggio, che forse avrebbe portato più frutti se fosse avvenuta prima, quando di tempo per convincere l’elettorato tedesco e avviare questa riforma ce ne sarebbe ancora stato.

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Difficile immaginare oggi come si muoverà la cabina di regia europea, il giorno che Merkel avrà lasciato la scena politica. Anche se prima – perché non si sa mai – potrebbe aver dato il suo contributo per piazzare un paio di pedine tedesche in posti strategici: il cristianosociale Manfred Weber alla presidenza della Commissione europea e Jens Weidmann a capo della Bce. Sarebbe un colpo da maestro, di difficile digestione però per molti degli altri paesi dell’Ue. Qualcuno potrebbe far notare che, infine, le paure dell’ex premier britannica Margaret Thatcher, secondo la quale l’unificazione tedesca non avrebbe portato a una Germania europea ma a un’Europa tedesca, si sono avverate. Bialecki però ribatte: “A parte il fatto che ho i miei dubbi sulla nomina di Jens Weidmann, siamo talmente legati a doppio filo l’uno all’altro che non vedo proprio il pericolo di questa supremazia tedesca”.

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