Il premio Nobel per la pace Yemeni Tawakkol Karman di fronte a un'immagine digitale di Jamal Khashoggi a Istanbul (foto LaPresse)

Un alleato a tutti i costi. La regola di Trump applicata a Riad

Paola Peduzzi

Mentre la Germania sanziona diciotto esponenti del governo saudita, la Casa Bianca sdogana una teoria del complotto che smentisce la Cia. Le dimissioni della direttrice per la regione del National Security Council

Milano. “Qualcuno saprà davvero” che cosa è successo a Jamal Khashoggi? Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, è tornato sull’uccisione del giornalista sauditaavvenuta il 2 ottobre dentro al consolato saudita a Istanbul, in Turchia – e ancora una volta ha utilizzato la sua tattica più rodata, quella di trasformare i fatti in supposizioni – un metodo che funziona anche in senso inverso, alla bisogna, supposizioni che diventano fatti. Sapremo mai cosa è successo?, ha chiesto Trump, quando le prove – filmati, audio, ricostruzioni indipendenti – dimostrano che lo sappiamo già che cosa è avvenuto, nonostante le tante versioni contraddittorie date dai diretti interessati: i regnanti sauditi Salman. Trump insiste: “Abbiamo un alleato e voglio stare dalla parte del mio alleato”. Il sistema di alleanze di Trump è molto cambiato: il presidente attacca Francia e Germania con forza pretestuosa, ma con i sauditi è garantista fino all’ultimo, anzi oltre questo limite, dal momento che la Cia, l’intelligence americana, ha stabilito che Mohammed bin Salman, il principe erede al trono, ha ordinato l’uccisione di Khashoggi. Ma sdoganata una teoria del complottovedi alla voce George Soros, per citare nomi noti – può valere ogni cosa, e così anche la Cia servirà sicuramente interessi altri, interessi contrari alla Casa Bianca, e accusa l’alleato bin Salman per poter mettere a disagio il presidente scomodo. I fatti non esistono, esistono le supposizioni, e viceversa.

   

L’imbarazzo però c’è, e anche le divisioni ci sono. Il New York Times ha scritto che Kirsten Fontenrose, che si occupa di Arabia Saudita presso la Casa Bianca, si è dimessa venerdì sera. La Fontenrose aveva chiesto una reazione dura nei confronti di Riad, ed era stata in Arabia Saudita per discutere le sanzioni ai diciassette esponenti del governo considerati coinvolti nel caso Khashoggi: inizialmente la lista non comprendeva Saud al Qahtani, uno dei principali consiglieri di bin Salman, quello che secondo le ricostruzioni avrebbe detto al team saudita arrivato a Istanbul per occuparsi del giornalista: “Portatemi la testa di quel cane”. La Fontenrose è riuscita a inserire anche al Qahtani tra i sanzionati, ma questa insistenza le ha causato una lite con il consiglio per la Sicurezza nazionale (guidato da John Bolton) dove lei aveva lavorato come direttore dell’ufficio dei paesi del Golfo. Nessuno ha voluto commentare le dimissioni, nemmeno la diretta interessata, ma Trump ha voluto sottolineare che per ora il diretto coinvolgimento di bin Salman non è stato appurato dall’Amministrazione: il documento dell’inchiesta condotta dalla Casa Bianca dovrebbe essere pronto oggi, ma non è detto che sarà reso pubblico.

  

Ieri intanto la Germania ha coordinato un pacchetto di sanzioni con Regno Unito e Francia contro diciotto esponenti del governo saudita che non potranno viaggiare nella zona Schengen (non sono stati resi noti i nomi). La Germania ha anche congelato i contratti con il regno sulle forniture di armi, in attesa di maggiore chiarezza sull’uccisione di Khashoggi. Ma Riad pensa di aver già detto e appurato abbastanza: bin Salman e suo padre, il re Salman, hanno fatto un tour nel paese per farsi vedere uniti e solidi e ieri il re, inaugurando il Consiglio della shura, è stato in generale piuttosto sintetico sulla politica estera saudita, non ha mai citato Khashoggi e si è congratulato con il sistema giudiziario saudita, che sa fare il suo dovere. Per l’omicidio del giornalista sono stati condannati a morte cinque responsabili, lo show offerto all’esterno per dire che giustizia è fatta. Per salvare bin Salman invece ci sono le supposizioni, il confine confuso tra quel che accade e le proprie ideologie, combinati con la convinzione che un principe tanto promettente non può aver fatto un errore tanto grave. E il punto è tutto qui: si diventa sfacciati quando si sa che si resterà impuniti.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi