Peggio della crisi del gas del 2022 c'è solo negare che sia esistita

Luciano Capone e Carlo Stagnaro

Per Bonelli (Verdi) è stata inventata "un’emergenza gas per imporre il rigassificatore di Piombino". L'evidenza e il buon senso dimostrano il contrario: le infrastrutture servono perché la sicurezza energetica è ridondanza e diversificazione

Non c’è stata alcuna crisi del gas. Lo ha sostenuto il leader dei Verdi Angelo Bonelli, prima su Facebook e poi alla Camera. La sua tesi è che nel 2022 l’Italia ha importato la stessa quantità di gas del 2021, circa 72 miliardi di metri cubi (bcm), e pertanto “quello che è stato fatto è una potente operazione di manipolazione dei dati attraverso l’uso strumentale dell’emergenza per trasformare l’Italia in un hub del gas”, ad esempio installando nuovi rigassificatori a Piombino e a Ravenna, al fine di portare “l’Italia a dipendere dalle fonti fossili per i prossimi decenni e fermare la transizione ecologica”.

 

È una singolare lettura dei fatti. La crisi del gas non è un fenomeno italiano, ma almeno europeo e con ricadute globali. Inizia nel 2021 quando l’offerta di metano fatica a tenere il passo della domanda, in rapida crescita con la ripresa post Covid. Ciò ha prodotto un incremento dei prezzi, poi esplosi con l’invasione dell’Ucraina e il taglio dei flussi dalla Russia. L’import di gas a livello Ue è sceso da 373 bcm nel 2021 a 359 bcm nel 2022: ma nello stesso periodo da Mosca sono giunti solo 67 bcm, meno della metà dell’anno precedente (153 bcm). Nell’ultimo trimestre le importazioni della Russia si sono ridotte dell’80%. Non si capisce che cosa è successo se non si tiene conto dello scenario complessivo dell’Ue, che ha visto quasi sparire il suo fornitore principale e ha dovuto sostituire enormi volumi di gas (sottraendoli a paesi che non avevano la possibilità di pagare altrettanto, come Bangladesh e Pakistan, dove sono esplose drammatiche rivolte per i ripetuti blackout).

 

È questo che spiega l’impennata dei prezzi nonostante la riduzione dei consumi, il ricorso al carbone, la corsa a moltiplicare le rinnovabili e l’aiuto del secondo inverno più caldo dal 1979. Questa premessa era necessaria per contestualizzare i dati forniti da Bonelli. Dice il portavoce di Europa Verde: “Nel 2021 l’Italia ha avuto un consumo di 76 bcm di gas, nel 2022 il consumo si è ridotto a 68,5 bcm. Di fronte alla riduzione dei consumi la quantità di gas a disposizione è rimasta identica. Nel 2022 75,721 bcm di gas di cui 3,41 di produzione nazionale nel 2021 erano 75,983 e la produzione nazionale di 3,43 bcm”. Ne segue che “l’Italia non ha avuto alcun problema sulle forniture grazie allo spostamento delle forniture di gas dell’Algeria e dal nord Europa e all’aumentata capacità di rigassificazione degli impianti esistenti a Livorno, Rovigo e La Spezia. Il dato incredibile è che in un solo anno l’Italia ha esportato gas per 4,6 bcm di gas pari al +197 per cento rispetto al 2021”.

 

Non c’è nulla di incredibile nell’export di gas, visto che – proprio per effetto dei cambiamenti citati – l’Europa si è trovata a dipendere maggiormente dalle importazioni dal Mediterraneo. È normale che il gas si muova da dove c’è a dove serve: ieri da nord a sud, oggi da sud a nord. Non ha senso, quando si parla di energia, ragionare in termini sovranisti anziché in ottica europea. Inoltre, se l’Italia è riuscita a ottenere i volumi necessari è solo perché sono entrate in esercizio infrastrutture, come il Tap, a cui Bonelli & co si erano opposti. Altre infrastrutture, come il gasdotto dalla Libia, hanno dato un contributo scarso perché la situazione nel paese nordafricano è instabile e non c’è sufficiente produzione di metano. L’Italia ha beneficiato dell’aumento delle importazioni dall’Algeria che ora sono attorno al 40%, circa la stessa quota che prima arrivava dalla Russia. Ma dipendere troppo da un solo paese, come dovrebbe averci insegnato il 2022, non è una strategia saggia. La sicurezza energetica è essenzialmente ridondanza delle infrastrutture e diversificazione dei fornitori.

 

Per questa ragione bisogna moltiplicare i punti di accesso alla nostra rete nazionale (e attraverso di essa a quella europea): non si può dare per scontato che tutte le infrastrutture resteranno sempre disponibili. Solo per citare cose già viste nell’ultimo anno, potrebbero intervenire: indisponibilità fisica del gas, complicazioni geopolitiche, scoppio di guerre, attentati terroristici (vedi Nord Stream). Nel 2023 dovremo ancora faticare per riempire gli stoccaggi ed essere preparati alla stagione fredda: cosa che sarà più facile perché, a causa di questo inverno particolarmente clemente, negli stoccaggi europei c’è una quantità di gas che è doppia rispetto allo stesso periodo del 2021; ma più complessa perché, a differenza del 2022, non possiamo più contare sulla Russia dall'inizio dell'anno. E se oggi il gas costa relativamente poco, è anche perché ad agosto, nella corsa a riempire le scorte, abbiamo versato per così dire l’anticipo.

 

La ragione per cui l’Italia ha bisogno di infrastrutture e rigassificatori è dunque abbastanza elementare: è la stessa per cui in Germania i Verdi (non la lobby degli idrocarburi) hanno approvato sei nuovi terminali (di cui tre già operativi) accelerando, con una legge voluta dal ministro Habeck, le procedure per realizzare gli impianti bypassando le valutazioni di impatto ambientale. Proprio come da noi ha fatto il governo Draghi. Lo stesso vicepresidente della Commissione Ue Maroš Šefcovic ha ribadito che per rendersi indipendenti dai gasdotti russi l’Europa deve passare da 27 a 35 rigassificatori incrementando da 178 bcm a 227 bcm la capacità di rigassificazione. 

 

Insomma, la crisi del gas nel 2022 c’è stata eccome: anziché negare l’ovvio sarebbe assai più utile e costruttivo imparare la lezione.