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Mettersi al lavoro

Redazione

I dati negativi sull’occupazione impongono una svolta antiassistenzialista

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Il calo della disoccupazione, dopo cauti segnali positivi a estate-autunno 2019, si è arrestato a dicembre bloccandosi al 9,8 per cento del mese precedente. Stiamo comunque parlando di performance modeste (soltanto Spagna e Grecia fanno peggio dell’Italia mentre la media dei disoccupati nell’Unione europea è ai minimi intorno al sette per cento); ma dai dati Istat di ieri emerge una ulteriore realtà in negativa controtendenza. Si tratta degli occupati, che si riducono nel mese di 75 mila unità, lo 0,3 in percentuale. L’occupazione – che non è aritmeticamente l’inverso della disoccupazione ma il tasso di persone in età attiva che lavorano – è un handicap storico dell’Italia con un gap di oltre dieci punti rispetto al resto d’Europa. La flessione di dicembre, 79 mila unità, riguarda in particolare la fascia di età 25-49 anni, cioè il cuore della popolazione lavoratrice, e sia i dipendenti con contratti permanenti (meno 75 mila) sia gli autonomi (meno 16 mila). C’è invece un lieve miglioramento (più 6 mila) tra i 15-24enni, il che però non migliora l’indice di disoccupazione giovanile, fermo al 28,9. In generale si riducono gli occupati, i dipendenti e i lavoratori autonomi, che scendono al minimo storico di 5,255 milioni. Dicembre dunque offusca la ripresa esibita dal governo nei mesi scorsi, anche se il saldo trimestrale dei dipendenti con contratto permanente resta positivo; tuttavia si ribalta il trend. Dei due alleati della maggioranza rossogialla erano stati i 5 stelle a vantare la bontà di scelte quali il reddito di cittadinanza e il decreto dignità del 2018, mentre il Pd era rimasto a guardare. Adesso è evidente che di “politiche attive” è arduo parlare, mentre l’andamento del mercato del lavoro appare affidato soprattutto alla stagionalità e alle ripercussioni dell’estero, Germania in testa. Continuano a mancare all’appello gli investimenti italiani, a partire da quelli pubblici, nonostante gli annunci ripetuti di choc di cantieri sbloccati (la Tav è appena partita); e nel frattempo la vicenda delle concessioni autostradali minaccia di ridurre ulteriormente la forza lavoro. Il governo però continua a occuparsi di pensioni, se non a rimettere in discussione il Jobs Act ripristinando l’articolo 18.

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Il calo della disoccupazione, dopo cauti segnali positivi a estate-autunno 2019, si è arrestato a dicembre bloccandosi al 9,8 per cento del mese precedente. Stiamo comunque parlando di performance modeste (soltanto Spagna e Grecia fanno peggio dell’Italia mentre la media dei disoccupati nell’Unione europea è ai minimi intorno al sette per cento); ma dai dati Istat di ieri emerge una ulteriore realtà in negativa controtendenza. Si tratta degli occupati, che si riducono nel mese di 75 mila unità, lo 0,3 in percentuale. L’occupazione – che non è aritmeticamente l’inverso della disoccupazione ma il tasso di persone in età attiva che lavorano – è un handicap storico dell’Italia con un gap di oltre dieci punti rispetto al resto d’Europa. La flessione di dicembre, 79 mila unità, riguarda in particolare la fascia di età 25-49 anni, cioè il cuore della popolazione lavoratrice, e sia i dipendenti con contratti permanenti (meno 75 mila) sia gli autonomi (meno 16 mila). C’è invece un lieve miglioramento (più 6 mila) tra i 15-24enni, il che però non migliora l’indice di disoccupazione giovanile, fermo al 28,9. In generale si riducono gli occupati, i dipendenti e i lavoratori autonomi, che scendono al minimo storico di 5,255 milioni. Dicembre dunque offusca la ripresa esibita dal governo nei mesi scorsi, anche se il saldo trimestrale dei dipendenti con contratto permanente resta positivo; tuttavia si ribalta il trend. Dei due alleati della maggioranza rossogialla erano stati i 5 stelle a vantare la bontà di scelte quali il reddito di cittadinanza e il decreto dignità del 2018, mentre il Pd era rimasto a guardare. Adesso è evidente che di “politiche attive” è arduo parlare, mentre l’andamento del mercato del lavoro appare affidato soprattutto alla stagionalità e alle ripercussioni dell’estero, Germania in testa. Continuano a mancare all’appello gli investimenti italiani, a partire da quelli pubblici, nonostante gli annunci ripetuti di choc di cantieri sbloccati (la Tav è appena partita); e nel frattempo la vicenda delle concessioni autostradali minaccia di ridurre ulteriormente la forza lavoro. Il governo però continua a occuparsi di pensioni, se non a rimettere in discussione il Jobs Act ripristinando l’articolo 18.

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