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Oltre ai tavoli di crisi ci sono gli investimenti in fuga dall'Italia

Maria Carla Sicilia

Non ci sono solo Whirpool, Piaggio e Mercatone Uno ma anche i posti di lavoro persi in partenza. Da Petroceltic che lascia l'Adriatico alle imprese del riciclo, che se ne vanno all'estero

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Mentre il ministero del Lavoro ha firmato il decreto per la cassa integrazione straordinaria di oltre mille dipendenti della Piaggio, altre migliaia di lavoratori aspettano gli esiti delle trattative in corso al ministero dello Sviluppo economico. Questa settimana al Mise si riuniranno i tavoli sui casi Whirpool (420 contratti a rischio), Ast (50 esuberi) e Iveco Defence (700 lavoratori in cassa integrazione dal 2016). Ci sono poi le vertenze di Mercatone Uno, Blutech, Unilever e il suo stabilimento Knorr, per ricordare solo le più delicate, per un totale di circa trecentomila lavoratori – dicono i sindacati – indotto compreso. Fuori dai tavoli del ministero, che procedono a rilento e senza la supervisione del ministro Luigi Di Maio, c'è poi il caso di Taranto, con ArceloMittal che dal primo luglio manderà in cassa integrazione ordinaria 1.400 metalmeccanici.     

  

In questo scenario di crisi industriali, tra la frenata del manifatturiero e i trasferimenti all'estero, perdere potenziali investimenti pesa particolarmente su crescita e occupazione.  

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La multinazionale britannica Petroceltic ha rinunciato a cercare gas metano nel mare Adriatico, e ha comunicato al Mise la sua intenzione di abbandonare quattro progetti al largo delle coste abruzzesi e molisane. Tre di questi erano già stati autorizzati e riguardano una grande porzione di mare pari a circa 94.500 ettari; il quarto invece è un progetto non ancora autorizzato, di cui però Petroceltic non vuole occuparsi più. La compagnia non ha commentato la sua richiesta, ma qualche indizio sul perché abbia deciso di abbandonare l'Italia lo forniscono le cronache. 

   

Tre anni fa la società aveva chiesto di sospendere le autorizzazioni per rimandare l'avvio dei lavori, resi complicati da difficoltà economiche che l'hanno portata a un passo dal fallimento. Superato il momento di crisi, oggi è il governo italiano a sospendere l'efficacia di quelle autorizzazioni, che rientrano nella moratoria che il M5s ha inserito nel decreto Semplificazioni. La famosa norma "blocca trivelle" prevede che le compagnie petrolifere titolari di permessi di ricerca o in attesa di riceverli – come Petroceltic – restino ferme. Nel frattempo, il governo è chiamato a compilare un piano delle aree, con il rischio che al termine del periodo di sospensione il progetto ricada all'interno delle aree che verranno ritenute interdette dall'estrazione di gas e petrolio. Intanto, le attività di ricerca non sono più considerate opere strategiche e sono aumentati i canoni di concessione. Tutti elementi che messi in fila suggeriscono a chi già tentenna di abbandonare il paese. Così, mentre i comitati No Triv festeggiano – “I frutti della lotta per la tutela dell’ambiente e del clima iniziano a dare frutti", si legge sulla pagina Facebook del Coordinamento No Hub del Gas –, tornano in mente i lavoratori del settore, che in fase di approvazione del decreto hanno più volte manifestato contro la norma, mettendo in guardia il governo dagli effetti che avrebbe avuto sugli investimenti e sui posti di lavoro in Italia.  

  

D'altra parte i comitati ambientalisti hanno poco da festeggiare. Lo stesso governo è riuscito a mettere in difficoltà anche le imprese più innovative che si occupano di riciclo e che oggi fanno i conti con la possibilità di continuare il proprio lavoro fuori dall'Italia. In questo caso non si tratta di multinazionali ma di startup italiane impegnate nel settore dell'economia circolare, scosse da un emendamento in discussione nel decreto sblocca cantieri che dovrà essere convertito in legge entro una settimana. La norma è stata discussa per mesi, con l'apprensione delle associazioni di categoria che da un anno aspettano un intervento per sbloccare le autorizzazioni agli impianti. Ora che la conversione del decreto è vicina, Utilitalia, Fise Assoambiente e Unicircular parlano di occasione persa, perché le imprese che hanno sviluppato filiere di riciclo più innovative resteranno ancora bloccate. Il motivo è che il riferimento per le autorizzazioni sarà ancora un vecchio decreto di vent'anni fa che non include molte nuove tecnologie e materiali, come alcune materie prime ricavate dai Raee, gli inerti da costruzione e demolizione e gli pneumatici. Un esempio è quello di Ecoplasteam, eccellenza italiana che ha sviluppato una tecnologia per riutilizzare il polietilene e l'alluminio di cui è composto il tetrapak, trasformandolo in EcoAllene, una nuova plastica completamente riciclabile e brevettata. E così il loro lavoro continuerà, ma in Austria. Mentre in Italia continueremo a mandare i rifiuti in discarica e i lavoratori in cassa integrazione.

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