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I turisti mangiatori felici di gelati ci indicano i luoghi dalla storia fortunata

Andrea Graziosi

La teoria semiseria della “gelateria fase suprema della storia”

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Come hanno notato Adriano Sofri e Camillo Longone, le parole di Cecilie Hollberg su una Firenze “schiacciata” dal turismo non sono una novità e ribadiscono idee con una lunga storia e una forte aderenza alla realtà. Accanto a Prezzolini si potrebbero per esempio ricordare i nazionalisti che a inizio Novecento paventavano un popolo di camerieri e musici piuttosto che di guerrieri e navigatori. Quelle letture mi resero per anni il turismo e i suonatori di organetti simpatici, anche perché pure a me piaceva andare in giro e tutti devono pur vivere. 

  
È però innegabile che i nostri centri urbani più belli, da Venezia a Firenze, Roma e ora Napoli (ma il fenomeno non è affatto solo italiano), sono stati occupati e deformati da un flusso turistico in continua crescita, che negli ultimi decenni – complici la crescita dei prezzi che l’accompagna e la crisi demografica – ha contribuito a privarli di una vita “vera”, nel senso di propria, autogenerata. Anche le chiese maggiori sono ormai musei, e a Napoli, l’ultima città italiana a essere colpita dalla denatalità e quella più travolta dal turismo negli ultimissimi anni, sono comparse sui muri scritte come “Tourist go home!”.

   

   
Qualche tempo fa, durante una visita a Siena, alla domanda chi comanda in città dopo la crisi del Monte, un uomo intelligente che la conosce davvero mi ha risposto, in parte scherzando, in parte no, i gelatai. Mi sono subito ricordato la fortissima impressione di una recente visita a Sirmione, regno di gelaterie che vendono a folle fittissime e soddisfatte gelati smisurati dai colori sgargianti e dai sapori non eccelsi, un po’ come succede anche a Trastevere (a Napoli siamo piuttosto ai coppetti di frittura, ma si sa che le eccezioni fanno la regola). E così, facendo lo storico e pensando sempre alla storia, ho elaborato una teoria semiseria (ma in realtà serissima) che ho chiamato “la gelateria fase suprema della storia”, triste e anche terribile da un certo punto di vista, ma in fondo ottimista.

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La teoria è questa: le folle di mangiatori felici di gelato si accalcano nei posti con cui la storia è stata buona, e che hanno quindi non solo grandi e gloriosi passati, monumenti meravigliosi, e spesso una fantastica cultura culinaria (Venezia come Monemvasia, Dubrovnik o Granada), ma anche una popolazione che ancora li abita, anche se magari si è trasferita nelle vicinanze. Avere i gelatai (o i proprietari di bed and breakfast) al potere è quindi il frutto di una storia fortunata, che come tutte le storie non può che finire, ma che almeno ha lasciato questo. Ci sono poi i posti meno fortunati, come Machu Picchu o Giza, dove il grande passato c’è ma la memoria della popolazione (se non la popolazione) è scomparsa, si va per vedere dei resti e di gelati ce n’è pochi; i posti sfortunati, che pure hanno fatto la storia, ma male, e dove non si va né a vedere né a mangiare gelati, come la Ruhr o il Donbas; quelli molto sfortunati come Chornobyl’, dove è meglio non andare; e quelli terribili, come Birkenau, dove si va, ma per star giustamente male.

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Le masse e le gelaterie sono quindi e paradossalmente un privilegio di quelli ai quali è andata molto bene, anche se si traducono in una vita meno vera o forse solo meno importante. Del resto, alla vita vera e importante si può aspirare come individui che partecipano di nuove culture e di nuove comunità (l’Italia, l’Unione europea, sperabilmente un nuovo occidente), anche se soffrendo, e non poco, per i colori assurdi dei gelati, lo stile sciagurato dei negozi e il crollo della qualità del cibo per “nativi” costretti a vedere i loro posti occupati da turisti che hanno gusti diversi e fanno alzare i prezzi perché, comprensibilmente, vogliono le nostre cose buone, frutto del nostro buon passato, e partecipandone inevitabilmente le snaturano. A volte, di nuovo scherzando ma non troppo, penso che ci berranno tutto il vino e ci mangeranno tutti gli spaghetti (quelli veri intendo), o letteralmente, o mettendoli al di là nella nostra portata, o facendogli cambiare sapore.

   
E così, un vecchio amante del turismo e dei turisti è arrivato a chiedersi se in fondo il turismo non sia più invasivo e pericoloso dell’industria pesante, che almeno qualche decennio di prosperità, come le acciaierie e le auto, lo ha assicurato. Quanto e quanto pesantemente altera le zone che tocca? E che succede quando i flussi turistici cambiano, e cambiano come dimostra il subitaneo arrivo a Napoli di quelli prima diretti a Barcellona, sul Mar Rosso o in Turchia? Che faranno allora gelaterie, friggitorie, e i loro addetti? Sono le domande che i governi, quello italiano come quello europeo, dovrebbero farsi per regolare e dirigere un fenomeno benefico, perché porta benessere a tanti, ma che può anche provocare catastrofi, e comunque lo snaturamento di posti talmente belli che è difficile vengano dimenticati, ma il cui stile e il cui decoro andrebbero tutelati, mentre si pensa a come garantire il futuro di un paese che non sarebbe saggio affidare solo al turismo.

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