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storie visibili

Dall’occhio alla mano. Così Tullio Pericoli trasforma i racconti in disegni

Rinaldo Censi

L'occhio che legge crea forme che poi possono essere realizzate. Così il pittore rende visivi le opere letterarie, da Stevenson a Kafka 

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Con questo Un digiunatore di Franz Kafka, pubblicato come sempre dai tipi di Adelphi, Tullio Pericoli riprende il proposito iniziato nel 2017 con il suo La casa ideale di Robert Louis Stevenson: “Trasformare cioè un racconto in disegni e proporre questa versione con il testo a fronte”. Qualcosa in un racconto lo colpisce (potremmo dire lo “punge”) a tal punto da spingerlo a risolverlo, renderlo attraverso una serie di disegni che non hanno la pretesa di porsi come “traduzione” del testo, quanto come loro commento, o prolungamento immaginario, “figurabile”. L’impresa non è priva di rischi. Lo spiega lo stesso Pericoli nel “resoconto” che segue il racconto di Kafka, proposto qui nella storica traduzione di Anita Rho. Come permettere all’immaginazione di attivarsi, strofinandosi al testo in modo tale da produrre figure? Si deve opportunamente affrontare la pagina, letta e riletta negli anni, con occhi nuovi: “Partiamo dagli occhi. Quando leggiamo, il nostro cono visivo continua a spostarsi da sinistra verso destra, orizzontalmente, seguendo le righe scritte. Un movimento che a poco poco diventa automatico. Ma se vogliamo che le parole acquistino forma, dobbiamo innanzitutto trasformare quel movimento – che oltre agli occhi coinvolge, non so spiegare come, anche la mente – da orizzontale a onnidirezionale: la base del cono deve allargarsi enormemente, perdere la sua forma circolare, debordare e aprirsi al sopra, al sotto, a destra e a sinistra”. 

 

Un nuovo metodo di lettura. Con occhi simili a ottiche di una macchina, ecco che improvvisamente alcune parole emergono, si stagliano ingigantite, ci colpiscono con un effetto che ricorda quello di certe didascalie del cinema muto, dove il gioco tipografico di ingrandimento testuale serviva ad accentuare, isolare, porre in rilievo un determinato termine. E qui? Scorrendo certe frasi Pericoli trattiene alcune parole: “MOSTRATO” - “COSTOLE” - “BRACCIO” - “SBARRE”. Le parole spingono la mano e producono linee, quasi autonomamente. Pericoli vi ha riconosciuto qualcosa di familiare: un’ombra. Quella di Giacometti.

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Ed è così che, per fratellanza e una sorta di affinità mnesica, i cubi, i corpi di Giacometti hanno incontrato le parole e i disegni di Kafka nei tratti di Tullio Pericoli. Prendete lo studio per acquaforte che Giacometti realizza nel 1933 per accompagnare un testo di René Crevel: ci mostra proprio una figura umana rinchiusa in gabbia – languente e scheletrica. L’assonanza è inevitabile: ricorda il nostro artista del digiuno. Clown tragico, vecchio saltimbanco dato in pasto alle folle e da esse dimenticato, Pericoli accompagna la nostra lettura con una successione di figure filiformi. Ma la gabbia viene aperta e le linee si moltiplicano per gemmazione, prendono colore; mascherate, si producono in evoluzioni. 

 

Lentamente, mentre il racconto avanza, il digiunatore è ormai ignorato, piazzato tra le belve di un circo, fino alla sua consunzione tra il pagliericcio. Pericoli ne disegna la pianta, le attrazioni. Isola la testa di un felino in alto a destra. E’ la giovane pantera che prenderà il suo posto. O è lui a divenire pantera? Non è forse una specie di sussurro, un flebile miagolio quello che infine esce dalla sua bocca? E viene alla mente una nota di Jules Laforgue su Baudelaire (quel “vecchio saltimbanco” alludeva al suo poemetto in prosa): “Ha trovato il miagolio, il miagolio notturno, singolare, languido, disperato, esasperato, infinitamente solitario – nelle sue elevazioni, le sillabe svanite, estatiche, ciò che i compositori chiamano sotto-armoniche”. Potrebbe valere anche per il digiunatore di Kafka.   

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