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No, caro Papa: l’occidente non è l’origine di tutti i mali del mondo. Ed è molto meglio di Xi Jinping e di Ortega

Redazione

Nel viaggio di ritorno dal Kazakistan, Francesco si è dilungato su questioni internazionali. Le sue parole riguardo Pechino e Nicaragua sono state particolarmente morbide. C'entrano la realpolitik vaticana e il modus operandi di Bergoglio

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Che l’occidente non brilli per la qualità delle sue attuali leadership è una constatazione, il richiamo alla politica alta e non bassa è dunque comprensibile. Che però l’occidente sia il buco nero dell’ordine mondiale, l’origine dei suoi mali, è una questione più complicata. Nella consueta intervista concessa ad alta quota, mentre tornava dal Kazakistan, il Papa ha parlato un po’ di tutto, dal convinto no all’eutanasia – “uccidere lasciamolo alle bestie” – ai possibili viaggi in programma. Ma è sulla situazione internazionale che Francesco si è dilungato di più, e se da un lato ha parzialmente corretto la posizione sull’Ucraina – dare armi a Kyiv “può essere morale” a determinate condizioni –  dall’altro lato ha ribadito che  “l’occidente, in genere, non è in questo momento al livello più alto di esemplarità”.

“L’occidente – ha detto il Pontefice – ha preso strade sbagliate, pensiamo per esempio l’ingiustizia sociale che è tra noi, ci sono dei paesi che sono sviluppati un po’ sulla giustizia sociale, ma io penso al mio continente, l’America latina che è occidente. Pensiamo anche al Mediterraneo, che è occidente: oggi è il cimitero più grande, non dell’Europa, ma dell’umanità. Cosa ha perso l’occidente per dimenticarsi di accogliere, quando invece ha bisogno di gente”. E poi “c’è il pericolo dei populismi. Cosa succede in uno stato socio-politico del genere? Nascono i messia: i messia dei populismi”. Populismi che “nascono così: quando c’è un livello metà senza forza, e uno promette il messia. Credo che non siamo noi occidentali al più alto livello per aiutare gli altri popoli, siamo un po’ in decadenza? Può darsi”. Non c’è niente di nuovo nella disamina papale, è pur sempre Francesco il Papa che anni fa ricevendo il premio Carlo Magno elencò davanti ai maggiorenti comunitari tutti i difetti e le defaillances di un’Unione che stava segnando il passo, identificandosi più come un monstrum burocratico che come una comunità di popoli ispirati da un afflato comune. 

Il problema, e lo si vede bene nel dialogo con la stampa di giovedì sera, è che se l’occidente viene messo sul banco degli imputati con parole sferzanti, i toni si fanno assai più comprensivi quando si parla di Cina e  Nicaragua. Su Pechino, in particolare, Francesco si mostra ancora una volta molto morbido, fermo nella sua adesione alla più pura realpolitik: “Non è facile capire la mentalità cinese, ma va rispettata, io rispetto sempre. Qualificare la Cina come antidemocratica io non me la sento, perché è un paese così complesso… si è vero che ci sono cose che a noi sembrano non essere democratiche, quello è vero”. Nei prossimi giorni, a Hong Kong, andrà a processo il cardinale Joseph Zen, da sempre in prima fila nel sostenere quanti manifestano contro il regime cinese: “Il cardinale Zen andrà a giudizio in questi giorni, credo. E lui dice quello che sente, e si vede che ci sono delle limitazioni lì”, si è limitato a dire Francesco. Quanto al Nicaragua, il cui governo ha prima cacciato il nunzio, poi le suore di Madre Teresa e infine sequestrato e arrestato un vescovo e vari sacerdoti, il Pontefice si fa ancora più diplomatico.  “Le notizie sono chiare tutte. C’è dialogo. Si è parlato con il governo, c’è dialogo. Questo non vuol dire che si approvi tutto quel che fa il governo o che si disapprovi tutto. No. C’è dialogo e c’è bisogno di risolvere dei problemi. In questo momento ci sono dei problemi”. 

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“Io –  ha detto il Papa – mi aspetto almeno che le suore di madre Teresa tornino. Queste donne sono brave rivoluzionarie, ma del Vangelo! Non fanno la guerra a nessuno. Anzi, tutti abbiamo bisogno di queste donne. Questo è un gesto che non si capisce… Ma speriamo che tornino. E che possa continuare il dialogo. Ma mai fermare il dialogo. Ci sono cose che non si capiscono. Mettere in frontiera un nunzio è una cosa grave diplomaticamente. Il nunzio è un bravo ragazzo che ora è stato nominato da un’altra parte. Queste cose sono difficili da capire e anche da ingoiare. Ma in America latina ce ne sono da una parte o dall’altra situazioni del genere”. 
Perché questa differenza di giudizio? Perché giudizi tranchant sull’occidente e comprensione per la Cina e il Nicaragua? Se nel primo caso conta molto la realpolitik vaticana che è disposta a tutto o quasi pur di raggiungere l’obiettivo prefissato (le relazioni diplomatiche con Pechino), nel secondo trionfa il modus pensandi di Jorge Mario Bergoglio, che poi è quello di un uomo di Chiesa latinoamericano che da sempre diffida delle ingerenze yankee nella sua parte di mondo e che ha ribadito, non più tardi di qualche settimana fa, la sua ammirazione per la Cuba dei fratelli Castro. E che, nelle nomine episcopali sudamericane (realtà che conosce meglio di tante altre), ha consegnato sedi di rilievo a presuli dal profilo marcatamente vicino a quelle posizioni. L’occidente avrà tante colpe, ma a differenza della Cina di Xi Jinping e del Nicaragua di Daniel Ortega consente ancora a chi non è d’accordo di dire la sua senza temere di essere arrestato o di sparire nel nulla.  

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