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Cosa dicono i minuti di blackout a Rai1 che hanno fatto il boom di ascolti

Andrea Minuz

Venerdì scorso, il segnale della diretta di “Storie italiane”, programma condotto da Eleonora Daniele, si è interrotto per oltre dieci minuti: ha fatto il 19,5 di share. Ciò vuol dire che o l’Auditel sbaglia, o non capiamo l’Italia

Il nero fa il picco di share in tv. Non è il nuovo talk di Santoro, un reboot di “Romanzo criminale” o una docufiction su CasaPound. Nero come oscurità, buio, blackout, assenza di segnale e forme di vita. A parte qualche polemica la notizia è passata inosservata, eppure a leggerla bene ci dice parecchie cose sulla tv. Venerdì scorso, la diretta di “Storie italiane”, programma del mattino di Raiuno condotto da Eleonora Daniele che “racconta fatti e personaggi del nostro paese a difesa dei cittadini” è stata improvvisamente inghiottita dal nulla. Palinsesto inchiodato sul nero per oltre dieci, ipnotici minuti, come in una science-fiction, un film catatonico di Andy Warhol o un golpe a Viale Mazzini. Si è corso ai ripari con le teche. Prima Lucio Battisti, in omaggio al 29 settembre, poi un’infornata di “Techetecheté” con la scritta in sovraimpressione: “Ci scusiamo per l’interruzione della normale programmazione dovuta a problemi tecnici”. Alla fine è saltato anche “Buono a sapersi” di Elisa Isoardi. Solo Antonella Clerici è riemersa dal buio con “La prova del cuoco”, dopo che alle 11.45 è tornata la diretta confermando un guasto tecnico. Il direttore Andrea Fabiani si è scusato con gli spettatori su Twitter, mentre qualcuno sui social già urlava al bavaglio contro Isoardi. Michele Anzaldi ha chiesto chiarezza: “La Rai dica in modo trasparente cosa succede”. Con un post su Facebook ha invitato il presidente della vigilanza Rai, Roberto Fico, a chiedere una relazione dettagliata al Parlamento “sulle cause che hanno portato al blackout di un’ora della regolare programmazione di Raiuno, addirittura con un lungo periodo di nero”. Capita di andare giù a Twitter e Facebook, figuriamoci a Saxa Rubra. La relazione al Parlamento andrebbe chiesta casomai sugli ascolti. Nessuno ha notato che quel “lungo periodo di nero” ha fatto il 19,5 di share, cioè più spettatori di quelli che stavano guardando “Storie italiane”. Per intenderci, più di programmi di punta come “Uno Mattina” o delle repliche di “Don Matteo”. Così, in un’improvvisa ipnosi collettiva, il nero è stato il picco di share della mattinata televisiva, battuto solo (di poco) dall’arrivo del Tg1. Se Fazio ha visto i dati di venerdì mattina dovrebbe temere per il suo 20 per cento di share già minacciato da Gianni Morandi su Canale 5. Il fascino indiscreto della tv oscura, da sempre ideale per i messaggi subliminali, potrebbe far gola agli investitori pubblicitari con un radicale abbattimento di costi, contratti e agenti televisivi (a meno che non ci sia anche un Beppe Caschetto del monoscopio).

 

In quei dieci minuti di nulla televisivo c’è una sin troppo didascalica metafora di un sistema bloccato su se stesso, sulle rilevazioni Auditel, sulla famigerata “dittatura degli ascolti”, ma anche sul suo ribaltamento, cioè quell’invocazione a “uscire dalla dittatura degli ascolti” che ogni tanto, tra un Campo Dall’Orto e l’altro, si affaccia in Rai. Dopo la bozza dell’Antitrust nel 2011 che contestava all’Auditel anche la “rilevazione di dati da famiglie che non hanno la televisione”, dopo lo scandalo del 2015 in cui per errore sono stati diffusi i nomi delle 5.600 famiglie del campione, il sistema di misurazione degli ascolti è a un bivio e andrebbe radicalmente ripensato. Da tempo, l’Auditel assomiglia a una barricata per tenere fuori gioco i nuovi player televisivi. Una tv ostaggio delle minoranze, come capita alla politica e alla società italiane. Le cose sono due: o i dati sono sbagliati e irrilevanti, quando non falsati, e quindi questa storia del paese di “Don Matteo” è fortemente esagerata, oppure sono veri. E allora, dateci il monoscopio in prima serata.