Beppe Grillo (foto LaPresse)

Indagine breve sull'establishment che non si oppone al grillismo

Claudio Cerasa

Un pezzo di classe dirigente sta scegliendo di mantenere un’equidistanza sospetta tra le forze politiche. Il sogno è spericolato: un patto di desistenza per dare ai grillini la possibilità di mostrare la loro incapacità al governo

Guido Tabellini è un importante economista italiano, di fama internazionale: è stato rettore della Bocconi dal novembre 2008 all’ottobre del 2012, è autore di discusse e apprezzate monografie scientifiche, è stato scelto nel 2013 da Enrico Letta come membro della commissione dei trentacinque esperti che all’inizio di questa legislatura hanno elaborato un disegno complessivo in materia di riforme costituzionali, è apprezzato da Matteo Renzi al punto da essere stato il primo nome consultato nel 2014 per riempire la casella del ministero dell’Economia e oggi, oltre che alla Bocconi, lavora anche nel cda della Cir, fondata da Carlo De Benedetti. La ragione per cui oggi vi parliamo del professor Guido Tabellini non ha però niente a che fare con le sue teorie in materia di politica economica. Ha a che fare piuttosto con una sua provocatoria teoria politica che ha catturato l’attenzione di una parte della classe dirigente milanese, e che merita di essere esplicitata fino in fondo. È una teoria che riguarda la politica di oggi e in particolare le prossime elezioni e che spiega bene le ragioni per cui un pezzo importante dell’establishment italiano non sembra intenzionato a seguire la stessa strada imboccata in Francia dall’establishment francese: prendere con chiarezza posizione nella partita tra populisti e anti populisti. 

 

 

La teoria Tabellini è una sorta di versione aggiornata del pensiero terzista e prevede una formula semplice, chiara e lineare che suona più o meno così: l’unico modo per eliminare il grillismo dalla faccia della terra non è sostenere l’accozzaglia che si oppone a questa forma di populismo ma è mettere alla prova i campioni della demagogia e liberarcene per sempre costringendoli a mostrare la loro incapacità direttamente dai banchi del governo. La stessa teoria, qualche mese fa, è stata esplicitata su questo giornale dall’ex amministratore delegato di Acea, Alberto Irace – “Queste forze dovrebbero misurarsi con la complessità e la durezza dei problemi, col governo, ed essere giudicate per questo” – e il tema merita di essere seguito con attenzione perché sintetizza una sensazione diffusa in un pezzo della classe dirigente italiana, non del tutto estranea anche al mondo del Corriere, dove si scommette sul fatto che la frammentazione del nostro paese sia destinata a produrre una legislatura instabile, che triturerà chiunque abbia l’occasione di mettere le mani sul volante di governo.

 

 

La teoria della desistenza, dunque, non prevede un sostegno diretto al grillismo. Prevede piuttosto una sostanziale equidistanza tra tutte le forze politiche presenti in campo. Da un certo punto di vista, la premessa da cui parte il ragionamento di chi adotta il metodo Tabellini è nobile e giusta – Grillo è un clown, non fa paura, non è serio, tanto vale metterlo alla prova e vedere cosa combina al governo – ma nasconde una preoccupazione priva di senso: l’idea che Grillo possa avere un futuro e che possa avvantaggiarsi da un’affermazione, alle prossime elezioni, di una grande coalizione tra centrodestra e centrosinistra. L’idea è del tutto sballata, perché Grillo non ha futuro e le prossime amministrative ci aiuteranno a capire bene che la minaccia grillina è stata ampiamente sopravvalutata. Ma l’atteggiamento di equidistanza mostrato da una buona parte della classe dirigente nei confronti del Movimento 5 stelle preoccupa non tanto perché può avvantaggiare Grillo. Ma perché può avvantaggiare il grillismo.

 

Il disimpegno in campagna elettorale, ci permettiamo di far notare, può avere un senso dal punto di vista tattico e il ragionamento sottinteso al disimpegno è evidente: la frammentazione della prossima legislatura sarà benedetta perché renderà il paese ingovernabile, aiuterà a far piazza pulita di tutti gli attuali leader politici e renderà così possibile la discesa in campo di altri leader che non aspettano altro che veder crollare questo sistema di partiti per tentare un’operazione Macron (Calenda? Sala? Cairo?). Ma a ben vedere il disimpegno oggi rappresenta un suicidio culturale che fotografa bene un limite evidente dell’attuale classe dirigente: sottovalutare i danni prodotti dell’egemonia grillina. Prendere sul serio Beppe Grillo e il Movimento 5 stelle ha senso solo nella misura in cui si considera un pericolo non la possibilità (inesistente) che un clown vinca le elezioni ma la possibilità concreta che le idee portate avanti dal Movimento 5 stelle possano trovare terreno fertile in altri partiti. E portare avanti una politica di desistenza in questa fase della vita politica – considerando tutti i leader in campo non diversi l’uno dall’altro e mostrando una sostanziale equidistanza tra le forze politiche schierate sul terreno di gioco – rischia di essere un clamoroso regalo al grillismo.

 

Come tutti i populismi, Grillo non ha futuro e ci sono buone possibilità che le prossime elezioni siano il detonatore che farà implodere il populismo come è successo in Spagna alle ultime politiche. Come tutte le ideologie, però, il grillismo rischia di avere un futuro se non ci sarà una classe dirigente disposta a prendere posizione in modo netto contro gli orrori della demagogia a cinque stelle. Davvero si può rimanere in silenzio, e non schierarsi, di fronte a un partito che pratica quotidianamente la gogna e che sogna di trasformare l’Italia in una repubblica giudiziaria? Davvero si può rimanere in silenzio, e non schierarsi, di fronte a un partito che sogna di archiviare la democrazia rappresentativa sostituendola con la truffa della democrazia diretta? Davvero si può rimanere in silenzio, e non schierarsi, di fronte a un partito complottista che sui vaccini gioca con la salute dei nostri figli solo per alimentare un odio contro le élite del nostro paese? Davvero si può rimanere in silenzio, e non schierarsi, di fronte a un partito che sogna di distruggere i nemici per via giudiziaria? Davvero si può rimanere in silenzio, e non schierarsi, di fronte a un partito che nell’indifferenza generale gioca ogni giorno con l’antisemitismo? Davvero si può rimanere in silenzio, e non schierarsi, di fronte a un partito leninista che viola sistematicamente la Costituzione italiana, non rispettando la libertà di ogni eletto di essere eletto senza vincolo di mandato? Beppe Grillo, come è evidente, non può essere preso sul serio, il suo partito è destinato a non avere una vita lunga e non vale la pena preoccuparsi più di tanto per le prossime elezioni politiche. Quello che in mancanza di una diga culturale è destinato invece ad affermarsi è il pensiero che si nasconde dietro l’ideologia grillina. E non opporsi con tutte le forze a questo pensiero non significa essere equidistanti. Significa esserne complici. Vale per tutti. Vale soprattutto per la nostra classe dirigente. Fate presto. Svegliatevi.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.