L'eurodeputato Nicola Caputo (foto LaPresse)

Abbattere i nemici per via giudiziaria infilando letame nel ventilatore

Claudio Cerasa

Mettete da parte le polemiche sui ballottaggi. Il caso Caputo ci dice tutto sull’Italia della gogna pentastellata

Mettete da parte le polemiche sui ballottaggi. Mettete da parte le scazzottate tra Renzi e Prodi. Mettete da parte le polemiche tra Berlusconi e Salvini. Prendetevi cinque minuti per leggere una storia, solo apparentemente piccola, che ci dice molto su cosa sia l’Italia del circo mediatico-giudiziario e su cosa significhi essere complici della barbarie giustizialista. Non vi parleremo del caso Woodcock – seppure la procura di Roma, che ieri ha indagato il pm della procura di Napoli per rivelazione di segreti d’ufficio, potrebbe aiutarci a capire in che misura esiste, se esiste, un generatore automatico di fango che partendo da una procura arriva quotidianamente sulle pagine di alcuni giornali.

 

Vi parleremo di un’altra storia che arriva sempre da Napoli e che riguarda un politico di cui forse non avrete mai sentito parlare: Nicola Caputo. Nicola Caputo è un europarlamentare del Partito democratico. È nato a Teverola, in provincia di Caserta, il 14 marzo del 1966 e dal 2014 a oggi si è ritrovato per due volte a fare i conti con gli orrori della gogna mediatica. Il primo caso risale al 2013. Caputo vince le parlamentarie del Pd, quelle volute da Bersani, e poco dopo essere stato messo in lista, per la Camera dei deputati, riceve un avviso di garanzia nell’ambito di un’inchiesta relativa ad alcuni rimborsi sospetti in regione Campania. Dopo quell’avviso di garanzia, l’allora segretario del Pd, prestando il fianco a una campagna di stampa manettara, sceglie di mettere fuori dalla lista Caputo e accetta di aderire indirettamente a una campagna di demolizione dell’ex consigliere regionale (“Qui c’è un bene da tutelare che è la credibilità della politica”). Pochi mesi dopo, l’indagine su Caputo sarà del tutto archiviata.

 

Tre anni dopo la scena si ripete ma in una forma ancora più barbarica. Siamo a metà gennaio. Il Movimento 5 stelle e i suoi giornali al guinzaglio si trovano in difficoltà: c’è da commentare il caso delle infiltrazioni della camorra al comune di Quarto, amministrato dal Movimento 5 stelle, e nel partito delle manette nessuno sa come cavarsela. Il 13 gennaio arriva la svolta e arriva la chicca. Un europarlamentare del Pd viene indagato. Le accuse sono importanti: secondo la Dda di Napoli Caputo sarebbe stato “il referente dei Casalesi in regione”. Un giornale, potete immaginare quale, dedica un’intera prima pagina al caso. “Voti, favori e camorra: indagato in Campania eurodeputato Pd”. Occhiello: “A 25 km da Quarto”. Bingo. Due giorni dopo, il blog di un importante movimento politico pubblica la foto segnaletica dell’eurodeputato. È il 16 gennaio 2016. Il post del blog guidato da un clown non si limita a chiedere le dimissioni dell’eurodeputato. Deve fare di più. Deve puntare più in alto. Deve giocare con le parole. Deve accendere il ventilatore. E così arriva a scrivere, testuale, che “il Pd è il partito preferito dalla camorra”. Partono gli hashtag. Partono i post. Partono gli editoriali. Partono i talk-show. I cumuli di fango si trasformano in montagna. Passano due anni e si scopre che non era vero nulla. Pochi giorni fa l’indagine su Caputo è stata archiviata. L’indagine che faceva leva sullo sbobinato di un’intercettazione e sulle parole di un pentito. Il giudice che ha chiesto l’archiviazione ha ammesso che l’intercettazione è stata fraintesa e che le parole del pentito non erano credibili. Nessun clown ha chiesto scusa. Nessun talk-show lo ha ricordato. Nessun Di Maio si è mortificato. Nessuna gazzetta al servizio delle procure ha offerto all’indagato archiviato lo stesso spazio utilizzato per sputtanarlo. Sarebbe bello dire che sia un caso isolato. Ma purtroppo è questa la prassi in un paese che da anni gioca con le vite degli altri infilando letame nel ventilatore per abbattere i nemici per via giudiziaria.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.