Renzi: essere o non essere oggi il valore aggiunto per la sinistra?

Al direttore - Raggi: “Case in rovina trovate sotto metrò colpa di amministrazioni precedenti”.

Giuseppe De Filippi


Al direttore - A questo punto, se fossi in Renzi una capatina a Lourdes la farei.

Michele Magno

 

E una volta tornato dovrebbe provare a dimostrare quello che i suoi avversari in questo momento negano. Ovvero che Renzi sia davvero ancora un valore aggiunto per il centrosinistra.


Al direttore - Il suo editoriale di ieri è un’analisi convincente del voto di domenica. Ciò detto, io sono ancora qui a interrogarmi sul destino, cinico e baro, che ha colpito la sinistra. Eppure i segnali di un trionfo del centrosinistra c’erano tutti: D’Alema ha informato della sua prossima candidatura; lo sciopero dei trasporti è stato un successo e la manifestazione della Cgil pure; sullo ius soli è quasi fatta; la Repubblica (giornale) cambia i vertici editoriali e tiene il punto sulle leggi da non tradire – quelle che ci collocherebbero definitivamente al vertice dei paesi maggiormente sviluppati; i guai della Rai brillantemente risolti; c’è perfino un prode professore che ha assunto il gravoso compito di confessare il popolo di sinistra; Bersani ha finalmente sgomberato il campo dal dubbio angoscioso che a sinistra ci fossero delle comari e anche Gotor ha squarciato il velo e detto che a Renzi puzzano i piedi. Nonostante tutto questo le cose sono andate come sono andate. Un bel mistero.

Valerio Gironi

 

Mancava solo un endorsement di Turigliatto.


Al direttore - Siamo immersi, in modo confuso, contraddittorio, inane, assurdo, in uno scenario politico schizofrenico. L’unico sistema per tentare d’uscirvi, ammesso lo vogliamo, è quello di dar vita, non effimera e parolaia, a un centrodestra unito programmaticamente e politicamente. Appare impresa tra il folle e l’impossibile, ma non esistono alternative. Un centrodestra siffatto riproporrebbe un sistema maggioritario e, paradosso solo apparente, costringerebbe il centrosinistra a staccarsi dal suo marasma esistenziale. Ma c’è un ostacolo reale: quello di verificare chi, a livello nazionale ha più voti tra, FI e Lega. Cioè: chi comanda? I trascorsi storici non bastano. Per chiarirlo senza scappatoie occorre una conta nazionale col proporzionale. Il cane si morde la coda. Un bel casotto.

Moreno Lupi

 

Il centrodestra unito può esistere, non c’è dubbio. Ma se il centrodestra deciderà di andare alle elezioni con questo sistema elettorale non raggiungerà il quaranta per cento e prenderà meno voti di quelli che potrebbe prenderne andando alle elezioni con due schieramenti separati. L’Italia maggioritaria non c’è più. Noi non siamo contenti ma conviene farsene una ragione.


Al direttore - Nell’ultimo Consiglio europeo dei capi di stato e di governo, Macron, lungo il solco del rilancio dell’asse franco-tedesco, ha imposto la discussione su due temi fondamentali per un’azione riformista dell’Ue: la definizione e attuazione di una politica comune di Difesa e sicurezza militare; l’avvio di una cooperazione politica integrata tra i maggiori partner dell’Unione. Macron, per la verità, non ha fatto altro che proiettare sul piano europeo punti programmatici importanti della sua recente piattaforma elettorale, con la quale ha prima vinto le elezioni presidenziali e poi trionfato in quelle politiche generali della Francia. Anche la Merkel, dal canto suo, si avvia a conquistare nel prossimo settembre, in quel di Germania, il quarto mandato alla Cancelleria, lungo una linea di impegno nazionale ed internazionale fortemente europeistico. Francia e Germania, dunque, ci dicono una cosa molto semplice e trasparente: lo scontro, sul piano interno così come su quello continentale, tra forze di sistema e forze dell’antisistema passa lungo la linea divisoria europeismo vs antieuropeismo. Attardarsi sulla riproposizione della tradizionale divisione politica centrosinistra vs centrodestra, così come in Italia non pochi politici e commentatori tendono a interpretare gli esiti della recente consultazione amministrativa, vuol dire tagliare fuori il nostro paese dalle dinamiche di cambiamento in atto in Europa nei sistemi politici nazionali e, di riflesso, negli assetti di potere dell’Ue. Soprattutto vuol dire allontanare l’Italia dal processo di riformazione di élite dirigenti di governo competenti e responsabili – di contro al populismo nullista e incompetente delle forze anti sistema – in cui sono impegnate, in modi diversi e peculiari secondo le proprie tradizioni culturali, Francia e Germania. Non è accettabile che in Italia, culla della concezione “realistica” della politica, si corra il pericolo di un tale distacco. Sveglia!

Alberto Bianchi

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