Lavoro o non lavoro? Poletti, il calcetto e qualche appunto sull'occupazione

Al direttore - Nelle classifiche sul consenso dei ministri, Giuliano Poletti a capo del dicastero del Lavoro, occupa da tempo l’ultima posizione. In un’economia come la nostra, che vanta un tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti d’Europa (peggio fanno solo Grecia e Spagna) e un tasso di occupazione tra i più bassi (sette punti sotto la media dell’area dell’euro), questo dato dovrebbe allarmare perché rivela che l’azione del governo, su quella che è la vera emergenza del paese, è giudicata dai cittadini del tutto insoddisfacente.

 

Il ministro Poletti in questi anni ha – senza dubbio – contribuito a far crollare la sua popolarità con dichiarazioni fuori luogo e inappropriate, per usare un eufemismo. Basti ricordare quando ha consigliato ai laureandi di ottenere il titolo in fretta, senza troppo badare al voto finale, oppure quando si è rallegrato con quei giovani che andando all’estero si sono “tolti dai piedi”. Recentemente, ha spiegato che il tempo utilizzato a giocare a calcetto può rivelarsi molto più utile di quello speso davanti a un computer a mandare il proprio curriculum (a proposito, caro ministro, alle ragazze cosa consiglierebbe come luogo di socializzazione, i corsi di cucina?). Queste affermazioni sono dannose, in particolare se dette da chi ha responsabilità di governo, perché rivelano il totale distacco che vi è tra la politica e il mondo reale. A dire il vero, i giovani che si possono “permettere” di seguire i consigli del ministro esistono, ma purtroppo rappresentano solo una piccolissima percentuale di “privilegiati” che trovano un lavoro attivando conoscenze e contatti. Gli altri, che poi sono quelli di cui si dovrebbe occupare il governo, non hanno scelta: devono studiare bene e presto, rinunciare a giocare a calcetto e mandare il curriculum, non uno, però, bensì dieci, venti, trenta. E, soprattutto, non devono scoraggiarsi, quando riceveranno dieci, venti anche trenta risposte del tipo “complimenti per la sua brillante carriera ma in questo momento l’azienda… ecc.”, perché ciò significherebbe uscire definitivamente dal mercato del lavoro. Le statistiche, invece, ci raccontano che in Italia, i giovani “scoraggiati” sono sempre di più. E così, quella che doveva essere la “generazione Telemaco” sta diventando sempre di più una “generazione perduta”.

 

I dati diffusi ieri dall’Istat lo dimostrano, fotografando un mercato del lavoro caratterizzato, oramai da tempo, sempre dalle stesse tendenze. In primo luogo, il lavoro lo trovano i più anziani. Rispetto al mese di gennaio, gli occupati over 50 aumentano dello 0,4 per cento mentre gli altri diminuiscono (i 25-35enni dello 0,2 per cento, i 35-49enni dello 0,1 per cento, i giovani sono fermi). In secondo luogo, la nuova occupazione è a termine. I lavoratori a tempo determinato aumentano di 23 mila unità, quelli a tempo indeterminato diminuiscono di 17 mila unità, l’esatto opposto dell’obiettivo che si era posto il governo con la sua riforma. In terzo luogo, i giovani smettono di cercare un’occupazione. Gli inattivi tra i 15-24enni aumentano di 38 mila unità e questo spiega il calo dei disoccupati (41 mila unità) nella medesima categoria.

 

In sostanza, le politiche attuate in questi ultimi tre anni non hanno sortito i risultati sperati (per inciso, a febbraio il tasso di occupazione è rimasto invariato sul mese precedente e pari al 57,5 per cento, ancora una volta uno dei livelli più bassi d’Europa). La decontribuzione, ad esempio, ha prodotto unicamente effetti temporanei. L’impatto sui conti pubblici, invece, è tutt’altro che temporaneo. Gli oltre 12 miliardi di euro investiti sono andati a ingrossare il debito pubblico, un fardello che dovrà essere ripagato proprio da questi giovani che sono talmente demotivati che non cercano più un lavoro, e, forse, nonostante il tempo libero a disposizione, non giocano neanche più a calcetto.

Veronica De Romanis

 

Un po’ troppo severa. Poletti è un magnifico gaffeur che verrà ricordato però non per il calcetto ma per aver contribuito a rendere il mercato del lavoro un po’ più flessibile. E qualche risultato si vede. Lei ha ragione su molti punti ma ha ragione anche l’Istat quando accompagna i risultati di ieri con una sintesi efficace: “Al netto dell’effetto della componente demografica, su base annua, cresce l’incidenza degli occupati sulla popolazione in tutte le classi di età e si conferma il ruolo predominante degli ultracinquantenni nello spiegare la crescita occupazionale, anche per effetto dell’aumento dell’età pensionabile”. Cresce l’incidenza degli occupati sulla popolazione in tutte le classi di età: con il calcetto si potrà fare certamente di più, ma qualcosa si muove, e non bisogna buttarla via, no?

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