Che cosa pensi di fare della tua unica vita? Penso di andare ai saggi

Annalena Benini

Le recite di fine anno, lo stereo inceppato, il grave errore di sperare nella fine della scuola

Dimmi, che cosa pensi di fare della tua unica vita, selvaggia e preziosa?, mi chiede a volte la notte Mary Oliver dentro questa sua poesia, “Giorno d’estate”. E io, che non sempre ho risposte, quella mattina ne avevo una, unica, precisa, chiara. Che cosa pensi di fare della tua unica vita? Penso di andare al saggio di flauto di mio figlio Giulio a scuola, e a tutti i saggi di tutto il mese di giugno, la mattina, il pomeriggio e la sera, e quando non vado ai saggi preparo i costumi per i saggi e guardo le foto dei saggi e le confronto con le foto dei saggi degli anni scorsi e mi preparo ai saggi dei prossimi anni. Dopo il saggio di teatro dell’altroieri, prima della notte bianca a scuola martedì prossimo, in cui i genitori non solo devono portare cibo meglio se cucinato a casa (ma ho deciso che vita selvaggia può anche significare: cibo comprato all’ultimo momento nel pizza al taglio di fronte alla scuola, e non ci ho pensato più), ma devono anche portare drappi, sgabelli, materiale di scena, restare fino alle dieci di sera, applaudire, mangiare pasta fredda e lasagne semifredde, e soprattutto fare la vigilanza, a turno. Chi è disposto a fare la vigilanza? C’è una lista, un’ora ciascuno, io mi sono messa in fondo, ho scritto il nome sperando che non si capisca bene, posso fare la vigilanza di scorta?, ho chiesto, la sostituzione in caso di gravissimo impedimento del vigilante capo, come quando l’attore protagonista si rompe una gamba o ha la tracheite, che però è chiaro che non deve succedere, è solo scaramanzia, si fa solo per scherzare. Mi hanno detto di no, perché è meglio avere in ogni caso più di un vigilante e comunque la notte bianca non è uno scherzo, e poi serve una mano per sparecchiare, per portare via le bottiglie, per dare i regali alle insegnanti. E’ un sistema molto complesso e pericoloso, quello dei saggi e dei saluti scolastici infilati prepotentemente e a un ritmo crescente nelle ultime due settimane di scuola, in modo che chi ha più di un figlio, in classi diverse, in scuole lontane, debba per forza mettersi in ferie, in malattia, in aspettativa, oppure implorare i genitori che vivono in città lontane e con cui ha litigato, di prendere un treno o un aereo e vivere tutti insieme per il periodo dei saggi, affinché ci siano almeno due adulti per ogni bambino il giorno del saggio, come prova di dedizione e di incoraggiante presenza. Ma non avevi litigato con tua suocera, non avevate chiuso i rapporti da due anni? Sì, ma ci sono i saggi. E’ un sistema così complesso che alcune madri in questo periodo decidono di riconciliarsi con gli ex mariti, pensano che in fondo se loro si offrono di andare a tutte le recite è giusto dargli un’altra possibilità, non litigavamo poi così tanto, e lui è sempre stato bravissimo con i filmini, filma anche il pubblico. Si vedono quindi alle recite genitori separati che si bisbigliano cose all'orecchio e ridono: durante tutto l’inverno non si sono mai rivolti la parola, e adesso stanno per scappare da quest'aula insieme (ma non provate a scappare, siete uguali a tutti gli altri, vi fermeremo, io che sono vigilante soprattutto, dovete rimanere qui per sempre con noi ad applaudire e ad aspettare che lo stereo inceppato riparta con la canzone preferita di tutti: il girotondo del bidello inferocito). Ma poiché a ogni azione corrisponde una reazione, e a ogni momento di stress corrisponde una speranza, questo tempo di saggi e di costumi da leone da cucire di notte, e di prove di flauto e di preparazione di insalate di riso e di raccolta soldi per le rose alla maestra, procura nei genitori un sentimento sbagliato, che tutti i genitori in totale incoscienza condividono nelle lunghe chiacchierate davanti alla porta chiusa del’aula, o in fila davanti al teatro, in attesa che i nostri figli siano pronti per il saggio e lo stereo venga sostituito da uno stereo ancora più vecchio e rotto.

 

Ci diremo, stringendoci le mani, guardandoci negli occhi come non abbiamo mai fatto prima: comunque sta per finire. Fra pochi giorni è finita. Coraggio, gli ultimi sforzi, ci saluteremo speranzosi sulle scale della scuola, manca soltanto il saggio di danza e la gara finale di minibasket e poi basta, se ne riparla a settembre. Manca giusto la pizza di classe e poi siamo liberi di divorziare di nuovo e di toglierci quel sorriso sociale dalla faccia. Ecco il terribile sbaglio. Come abbiamo potuto invocare la fine della scuola, quando con la fine della scuola inizierà il periodo più difficile della nostra vita? Come abbiamo potuto lamentarci dei saggi, quando dopo i saggi scappiamo via leggeri e commossi verso la nostra esistenza nel mondo degli adulti, però con le fotografie dentro il telefono e un senso di compiutezza, e la certezza che nostro figlio ci ha visto, ci ha sorriso, noi eravamo lì solo per lui, a filmarlo, fotografarlo, mandargli i baci, l’ultimo bacio prima di fuggire negli uffici o altrove, comunque verso qualcosa che assomiglia alla libertà, con le insegnanti che dicono: bambini torniamo in classe, i vostri genitori devono correre al lavoro. Grazie maestre, che peccato che stia per finire. Voglio preparare cento chili di insalata di riso, correre dal teatro all’ufficio, dall’ufficio alla scuola, leggere i copioni, imparare tutte le canzoni del Flauto magico, fare la vigilanza anche di notte, costruire una scenografia, ma con la certezza che qualcuno sempre dirà, a un certo punto: ecco cari genitori, questa è l’ultima canzone. All’ultima canzone, io di solito piango. A vederli tutti nei loro banchi con i flauti, e le scarpe da ginnastica che battono il ritmo, e le risate soffocate e le magliette e l’estate che arriva dalle finestre sui capelli, anche i genitori più tatuati piangono. Solo che all’ultima canzone lo stereo si inceppa ancora. Non suona. Non succede niente. Non riparte. I genitori guardano gli orologi, tossiscono, non sono improvvisamente più commossi, propongono di usare i telefoni al posto dello stereo, per velocizzare, provano ad aggiustare lo stereo, lo scuotono sempre più forte. Staremo qui per sempre, o almeno fino alla fine della scuola.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.