"Non c'è stampa russa senza Occidente". Parla Oleg Kashin

Micol Flammini

Un giornalista russo dissidente ci racconta la "mediumcrazia" di Putin

Roma. “Potremmo chiamarla una mediumcrazia. Ecco cos’è la Russia”. Oleg Kashin, nato a Kaliningrad nel 1980 è un noto giornalista politico russo. Ha lavorato prima per l’edizione locale della Komsomol’skaja pravda, poi per il quotidiano moscovita Kommersant, fino a quando, nel 2010, è stato aggredito per ragioni probabilmente legate al suo lavoro. “All’epoca facevo inchieste, mi stavo occupando del progetto di Russia Unita, il partito di governo, di costruire un’autostrada che attraversasse la foresta di Khimki”. Gli articoli di Kashin provocarono molte manifestazioni contro il Cremlino e quando fu picchiato davanti alla porta di casa, l’allora presidente Dmitri Medvedev gli giurò che avrebbe trovato i colpevoli. “Furono arrestati, ma i mandanti non sono mai venuti fuori”. L’incidente lo aveva trasformato in un simbolo dell’opposizione e poco dopo il Kommersant lo licenziò. “Ora faccio il freelance, non mi dedico più alle inchieste”. Scrive per testate russe e straniere, tra cui il Guardian, vive tra Mosca e Ginevra e si batte per la libertà della stampa russa. “Il Cremlino controlla tutta l’industria dell’informazione direttamente o indirettamente”, dice Oleg Kashin al Foglio, “gli editori sono spesso uomini molto ricchi che gravitano intorno al Cremlino, quindi è chiaro che la stampa non produce notizie contro il governo”.

     

Di recente, Mosca ha approvato una legge per scoraggiare i media stranieri che lavorano sul territorio russo: ora verranno sottoposti a controlli molto rigidi che ne ridurranno la libertà. La misura è una risposta alla decisione americana di obbligare Russia Today e Sputnik a registrarsi nell’elenco degli agenti stranieri. Per Kashin era una reazione ovvia: “Washington non poteva pensare che il Cremlino non avrebbe reagito”. Alla fine, però, la vittima di questo scontro sarà la libertà d’informazione in Russia: “Le nostre testate sono nate dalle ceneri del giornalismo sovietico che era costantemente sottoposto al controllo del partito. Poi sono finite nelle mani degli oligarchi. In Russia non abbiamo un modello di giornalismo autoctono, tutta la nostra cultura sui media è di importazione. Leggiamo il New York Times, guardiamo la Cnn. Ora farlo sarà più difficile e questo danneggerà soprattutto i pochi media indipendenti come l’emittente Dozhd o il quotidiano Novaya gazeta”. La nuova legge varata dal governo impone alle testate estere di registrarsi come “agenti stranieri”, una vecchia etichetta sovietica.

    

Queste ultime schermaglie informative sono conseguenza diretta del cosiddetto Russiagate, che a Washington è un grande scandalo ma a Mosca ha ricevuto un’accoglienza differente: per molti, dice Kashin, il Russiagate è diventato un nuovo elemento di coesione per il popolo russo, una storia di cui andare fieri. “Alla gente non interessa se ci sia stato davvero”, dice il giornalista, “per i russi il fatto di aver interferito nelle presidenziali americane è un motivo di ammirazione per il proprio governo, li rende orgogliosi come è successo con l’annessione della Crimea”. Il Russiagate è poco raccontato da Mosca e i giornalisti russi che ne parlano lo fanno spesso con il punto di vista del Cremlino. Vladimir Putin viene presentato come un eroe e, in aria di campagna elettorale, questa ulteriore propaganda indebolisce gli avversari politici, come ha segnalato in un post su Facebook molto ripreso dai media occidentali il capo di gabinetto di Alexei Navalny: il Russiagate “fa sembrare un gruppo di vecchi arnesi del Kgb come una forza onnipotente che viene dritta dalla saga di James Bond”, ha scritto.

      

“La stampa può modellare la mentalità delle persone, è sempre stato così. Il fatto che da noi i media indipendenti siano pochi fa sì che ci sia un forte pensiero dominante”, dice Kashin. Quest’anno la lotta alla presidenza si gioca tra personalità molto diverse tra loro, ma alla fine tutti sanno come andrà a finire. “La stabilità del potere in Russia si fonda sulla sua popolarità di Putin”, dice Kashin. “Se viene a mancare, crolla il sistema”.

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