Re Mohammed VI del Marocco ad Amsterdam (foto LaPresse)

Modello Marocco

Maurizio Stefanini
Boom dell’export di vino, tutela alla comunità ebraica. A garantire la laicità c’è il re, Maometto VI.

Roma. Il re del Marocco, Mohamed VI, non solo si chiama come il Profeta dell’islam: è anche un suo diretto discendente, attraverso la figlia Fatima e il marito di lei Ali, a sua volta cugino di Maometto, quarto califfo e punto di riferimento dell’islam sciita, anche se la dinastia marocchina è sunnita. Il primo ministro del Marocco, Abdelillah Benkirane, è esponente di un Partito per la giustizia e lo sviluppo che si richiama apertamente all’islam politico. Questo partito islamista, però, fa parte di una coalizione di governo assieme al raggruppamento degli ex comunisti, oltre che a un partito monarchico e a un partito liberale espressione dell’etnia berbera: indigeni pre arabi del Marocco che si considerano musulmani, ma non vogliono né la Sharia né essere “arabizzati”. Benkirane, quando nel 2011 si trovò a essere il primo primo ministro islamista della storia marocchina, rilasciò subito un’intervista per spiegare che lui non era certo andato al governo “per poter dire alle giovani donne quanti centimetri di gonna esse dovessero indossare per coprire le gambe. Questo non è affar mio, e non è possibile in ogni caso per chiunque minacciare le libertà civili del Marocco”.

 

Rabat rappresenta un’anomalia, per come stanno andando in questo momento le cose nel resto dei paesi arabi e islamici. Ma non la sola. Il Marocco, ad esempio, dall’ottobre del 2003 ha adottato un codice di famiglia che – per la prima volta in un paese musulmano – ha abolito l’obbligo della moglie di obbedire al marito, stabilendo invece che “la famiglia è posta sotto la responsabilità congiunta degli sposi”, e dando alla donna un diritto di veto su eventuali intenzioni poligamiche del marito. Il Marocco è anche un paese dove il tamazight, lingua berbera che per gli integralisti appartiene alla “barbarie pre islamica”, è stata invece riconosciuta come lingua ufficiale accanto all’arabo. Il Marocco è un paese dove il numero di vitigni coltivati e l’export di vino crescono di anno in anno: nel 2013 sono stati prodotti 400.000 ettolitri, dando lavoro a 20.000 persone. In Marocco resta anche una comunità ebraica stimata tra le 2.500 e le 10.000 persone. Ci sono relazioni diplomatiche con Israele, la doppia cittadinanza israeliana e marocchina è diffusa e consentita, il nonno dell’attuale re – al tempo dell’occupazione tedesca – intervenne per impedire che gli ebrei venissero deportati. Il monarca regnante, poi, ha come suo stretto consigliere l’ebreo André Azoulay, e un ebreo è stato ministro del Turismo tra il 1993 e il 1995.

 

Paese con una lunga storia di pluralismo politico, il Marocco ha conservato alla Corona un ruolo molto più forte che non nelle monarchie costituzionali di oggi. Ma sono stati appunto questi poteri a permettere alla dinastia di esercitare un forte ruolo di modernizzazione. Così ci spiega anche Mohamed Chtatou, docente all’Università di Rabat ed esperto in risoluzione dei conflitti di etnia berbera, che ha lavorato alla mediazione nel conflitto in Libia e che un anno fa partecipò in Italia al workshop di geopolitica ed economia internazionale della rivista “Nodo di Gordio”. “Il Marocco è un vero caso speciale in tutto il mondo arabo, tant’è che si parla correntemente di ‘eccezione marocchina’. Un’eccezione che è il risultato di diversi fattori. Primo: il Marocco esiste come entità a sé stante da più di 4.000 anni. Secondo: la monarchia marocchina è vecchia di 13 secoli. Terzo: il sultano nel passato e il re ai nostri giorni è a un tempo capo dello Stato (ruolo temporale) e Commendatore dei Credenti (ruolo spirituale). Quarto: il Marocco ha iniziato la sua primavera nel 1996, sotto Hassan II, quando ha liberato tutti i detenuti politici ed ha chiesto all’opposizione di formare il governo.

 

Inoltre, Hassan II ha iscritto i diritti dell’uomo nella Costituzione di quell’anno. E’ l’inizio di quella che si può definire una devoluzione dei poteri. Suo figlio, in seguito, ha proseguito su tale strada, riconoscendo nel 2001 la cultura amazigh e varando un codice familiare rivoluzionario per il mondo islamico, nel 2004. Quinto: il re continua gradualmente le riforme costituzionali necessarie per una democrazia plurale.  Sesto: la Costituzione del 2011 riconosce nel suo preambolo le differenti identità del Marocco. Araba, islamica, amazigh, ebraica, africana e mediterranea. Ma c’è anche il settimo fattore: la polizia marocchina è considerata tra le migliori nella lotta contro il radicalismo e il terrorismo religioso”, sottolineava Mohamed Chtatou. Insomma: democrazia e laicità, ma sotto una robustissima tutela.

Di più su questi argomenti: