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Nostalgia e realismo nel pensare il futuro urbano del cinema

Mariarosa Mancuso

“Non può esistere il cinema senza le sale”, ha detto Francesco Rutelli presidente dell’Anica. Una sola controindicazione: al cinema si va sempre meno, i primi a disertare sono i celebratori delle sale buie

“Non può esistere il cinema senza le sale”, ha detto Francesco Rutelli presidente dell’Anica – Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive – al convegno “Il futuro urbano del cinema”. Sacrosanto, con la sua punta di nostalgia: non si capisce perché quando tutto è social, o esperienza condivisa, il cinema dovrebbe smettere di esserlo. Una sola controindicazione: al cinema si va sempre meno, i primi a disertare sono i celebratori delle sale buie, adducendo vari motivi. Dal “non fanno più i bei film di una volta” alla mancanza del cinema sotto casa (scomparso appunto perché loro non lo frequentano più).

 

“Salle de continuation” sta scritto sul sito del “Brady”, cinema parigino che l’anno scorso ha compiuto 60 anni. In Francia il cinema lo amano, oltre ai cinema d’essai hanno le seconde e le terze visioni. Hanno anche qualche scrittore bravo – sia pure arrivato a tre anni dalla Bulgaria, si chiama Jacques Thorens – che a partire dal 2000 è stato proiezionista, cassiere e tuttofare nella storica sala. Frequentata da gente che voleva spararsi un paio di horror pomeridiani, o altri titoli dalla serie B in giù. E da altra gente che voleva solo dormire su poltrone più comode di una panchina: senzatetto, sbandati, solitari.

 

Racconta tutto – il vero e l’inventato, non è facile distinguere – in “Il Brady”, romanzo ora tradotto dalla casa editrice L’Orma, e ormai di culto quasi quanto il cinema. Ha due sale, una da cento e una da quaranta posti, con l’aria dimessa che hanno i cinema d’essai parigini (poi parte la proiezione, immagine e sonoro sono perfetti, mentre noi spezziamo ancora i film con l’intervallo). Tra i gestori ebbe anche Jean-Pierre Mocky, figlio di immigrati polacchi e regista situazionista: nessuno proiettava le sue pellicole, decise che un cinema poteva servire. Un cinema pornogay di pari livello e follia era nel film (parecchio autobiografico) di Jacques Nolot intitolato “La Chatte à deux têtes”. Al Brady qualche incontro scappa, mentre i più sfacciati spettatori arrostiscono salsicce su un fornello da campo.

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