Papa Francesco (foto LaPresse)

I fan alla sinistra del Papa più che ai poveri pensano a Chávez

Loris Zanatta

Molto prima che il comunismo trasformasse il verbo anticapitalista e antiliberale in un’ideologia secolare, era stata la chiesa su americana ad agitare con furia quel vessillo

Ormai è ufficiale: Papa Francesco è il leader della sinistra italiana, europea, mondiale. Com’è possibile? Sarà un equivoco? Le ragioni accampate dalle nutrite legioni pontificie suonano convincenti: poiché la sinistra laica ha smarrito la via e tradito gli ideali abbandonando “gli ultimi” della cui protezione dovrebbe occuparsi, è normale che cessi di rappresentarli. Ancor più normale, in tale ottica, è che gli orfani sociali, che sono tanti, e gli orfani intellettuali, ancor più numerosi, si rivolgano speranzosi al Papa argentino, al suo costante appello agli scartati, alle periferie, alle sue bordate contro il mercato, i potenti, le banche. Lui sì che scalda i cuori! Per molti è una nuova gioventù: l’anticapitalismo è tornato!

 

Tutto ciò non dovrebbe sorprendere: molto prima che il comunismo trasformasse il verbo anticapitalista e antiliberale in un’ideologia secolare, era stata la chiesa cattolica ad agitare con furia quel vessillo; e quella latina più di qualsiasi altra, in nome del popolo cristiano minacciato nelle sue virtù dalle nuove idee. Non sarà un caso se il comunismo ha attecchito nel mondo latino e cattolico assai più che altrove; se il comunismo vi ha assunto spesso il profilo di una chiesa secolare: lo dico con cognizione di causa, da figlio di operaio comunista cresciuto coi santini di Lenin sui comodini di casa.

Con Bergoglio, dunque, l’atavica ostilità al liberalismo economico e politico ritrova le sue ragioni e chi non ha elaborato il lutto del crollo del mondo comunista, può ritornare alle origini evangeliche dell’antiliberalismo nei paesi latini. Ciò è del tutto coerente con la traiettoria del Papa, che incarna la tradizione antiliberale del populismo latinoamericano, nemico della “razionalità illuminista” e dei ceti medi, in quanto “ceti coloniali” estranei alle radici cattoliche del “popolo”.

 

La distinzione tra destra e sinistra è importante, ma talvolta superficiale: c’è una destra liberale e una destra populista; c’è una sinistra liberale e una sinistra populista; e c’è assai più affinità ideale tra le anime liberali e tra quelle populiste di quanto non ve ne sia tra destra e sinistra. E’ questione di visioni del mondo le cui radici si perdono in epoche remote. Quella liberale propone una visione disincantata del mondo; affronta la vita sociale come un esercizio pragmatico e imperfetto che rifugge le utopie redentive, perché foriere di fanatismi fratricidi.

 

Quella populista vede il mondo come un’eterna lotta tra bene e male; non le importa analizzare il mondo nella sua complessità per apportarvi modifiche, migliorie, riforme; le importa giudicarlo in termini etici: assolverlo o condannarlo. Su questo piano, il populismo non ha rivali: la sua portentosa forza è la stessa che da secoli alimenta le grandi religioni; e su ciò, infatti, sulla semplificazione dei grandi problemi della nostra epoca, il Papa non ha rivali. Tuttavia, gli argomenti di chi si arruola nella sinistra pontificia sono più deboli di quanto sembri. Si può criticare finché si vuole la sinistra liberale, ma il suo presunto “abbandono” degli ultimi è frutto di una riflessione storica che, prima o poi, anche la sinistra pontificia dovrà fare. Nasce cioè dall’ovvia considerazione, del tutto estranea al Papa, che il terribile mercato ha fatto e può fare per emancipare gli ultimi e le periferie assai più degli ideali agitati con indignazione contro di esso; che il mercato va governato e ben governato, non combattuto; che la competitività e la produttività non sono brutte parole inventate per sfruttare gli indifesi, ma le chiavi per rendere più inclusivi i sistemi produttivi e sociali.

 

La sinistra bergogliana guardò nel decennio scorso ai populismi dell’America latina come la nuova via: quelli sì che bastonavano il mercato, che pompavano spesa pubblica, che inneggiavano al popolo e ai poveri! Oggi che il Venezuela chavista langue nella miseria e nella disperazione in mezzo a un mare di macerie istituzionali, tutti guardano altrove: regna il silenzio. Eppure era già accaduto e ancora accadrà: quelle belle idee producono simili disastri. Non sarà che le milizie del Papa amino più i loro antichi e gloriosi ideali che il destino dei poveri?

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