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In America spopola TikTok, ma le garanzie sui dati sono sempre più fragili

Pietro Minto

Il colosso cinese oramai è il sito più visitato del mondo. Ma un'inchiesta di BuzzFeed rivela come ci sia ancora molto da fare per garantirsi che i dati sensibili non siano usati con finalità opache da Pechino

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In un qualche universo parallelo, TikTok è di proprietà di Microsoft da quasi due anni. Precisamente, dall’agosto del 2020, quando l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump decise di bandire il social network se il gigante cinese ByteDance non l’avesse venduto a un’azienda americana. All’epoca, il principale candidato per l’acquisizione era Microsoft: se ne parlò per qualche settimana, finché, almeno in questo universo, Trump sembrò perdere interesse per la questione. Così, TikTok rimase cinese e, qualche mese dopo, il ceo di Microsoft Satya Nadella definì quell’accordo mancato “la cosa più strana su cui abbia mai lavorato”. Per qualche tempo, si era anche parlato di una possibile alleanza tra Oracle, gigante delle infrastrutture web, e Walmart, la catena di supermercati più grande del mondo, ma non se ne fece nulla.

Da allora molte cose sono cambiate: nel dicembre del 2021, TikTok è diventato il sito più visitato del mondo, superando persino Google, e sancendo l’inizio di un’egemonia culturale – oltre che tecnologica – che sta scuotendo il panorama digitale occidentale. Instagram e Facebook lavorano per incorporare i Reels e altri elementi presi in prestito da TikTok nel loro ecosistema, mentre persino YouTube si adegua allo Zeitgeist inaugurando gli Shorts, un formato di video brevi e verticali. I feed pieni di foto di amici e colleghi lasciano spazio a contenuti video scelti da algoritmi che scimmiottano la precisione caotica del social cinese.

 

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Eppure, i timori che portarono l’Amministrazione Trump a spingere per la vendita di TikTok rimangono. Anzi, hanno avuto alcune conferme. Lo scorso venerdì BuzzFeed News ha pubblicato un’inchiesta sull’accesso dei dati sensibili degli utenti statunitensi dell’applicazione da parte del personale di ByteDance in Cina. Questo smentirebbe tutti i tentativi di rassicurazione da parte dell’azienda, che da tempo risponde alle accuse e critiche sottolineando come le informazioni sugli utenti americani siano conservate su server che si trovano negli Stati Uniti. I dati sono però merce eterea e invisibile: la localizzazione di un server non è garanzia di molto. A tal proposito, BuzzFeed ha pubblicato diverse testimonianze di dipendenti di TikTok, secondo cui dalla Cina avrebbero accesso ai dati non pubblici degli utenti TikTok statunitensi: “Proprio il genere di cose che spinsero Trump a minacciare la messa al bando dell’app”. Di più: secondo una delle voci raccolte, sfuggire all’occhio di ByteDance sarebbe impossibile: “Dalla Cina vedono tutto”.

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Coincidenza ha voluto che il giorno in cui BuzzFeed ha pubblicato questa storia, ByteDance abbia completato il trasloco dei dati statunitensi nei server di Oracle – la stessa azienda a cui sembrava pronta a vendere l’intero social network. “Usiamo ancora i nostri data center negli Stati Uniti e a Singapore – ha dichiarato un portavoce di TikTok – ma cancelleremo i dati privati dei cittadini americani dai nostri archivi e li sposteremo tutti nella cloud di Oracle, negli Stati Uniti”.  Non è solo l’ombra lunga di Pechino a preoccupare. Le recenti indagini sul ruolo di Trump e alcuni esponenti del Partito repubblicano nell’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021 hanno portato alla luce anche un incontro segreto avvenuto nel novembre del 2020, a cui partecipò anche Larry Ellison, fondatore e presidente di Oracle, che negli ultimi anni si è speso molto a sostegno del trumpismo.

Secondo alcuni, in questa riunione si sarebbe parlato degli inesistenti brogli elettorali su cui da allora insiste la destra statunitense. Fosse così, oggi, i dati degli americani su TikTok si troverebbero tra l’occhio di ByteDance e quello di un miliardario dalle simpatie sovversive. Nel frattempo, lo scorso aprile, l’azienda cinese ha presentato il suo nuovo data center per il mercato europeo e britannico. Si troverà in Irlanda e, secondo l’azienda, rappresenta “un nuovo impegno per l’Europa, per garantire interoperabilità e proteggere la privacy”. Sono però in pochi a crederci.

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