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Olive #7

Christian Gytkjær è una stampella

Giovanni Battistuzzi

L'attaccante danese quando arrivò in Italia non lo conosceva nessuno, nonostante avesse realizzato oltre un centinaio di gol tra Danimarca e Polonia. Ha segnato il gol decisivo per la prima vittoria in Serie A del Monza

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Era la seconda metà del gennaio 2017 quando Daniel Bierofka, che allora sedeva sulla panchina del Monaco 1860 (seconda squadra di Monaco di Baviera, ma prima almeno per fondazione), andò dal presidente del club bavarese, Peter Cassalette, per chiedergli un rinforzo in attacco. C'aveva nessuno, l'allenatore, da schierare accanto a Ivica Olić – che aveva ormai trentasei anni e l'idea di smettere con il campo –, nessuno di buono almeno. S'era pure infortunato Sascha Mölders, che c'aveva problemi di peso sì, ma quanto meno qualche volta, a dir la verità poche, la buttava dentro o quanto meno faceva lavoro sporco, utile alla squadra. Se la passava male il Monaco 1860, stava in coda alla 2.Bundesliga, non aveva un euro in cassa, e pure i tifosi più amorevoli avevano iniziato a spazientirsi: s'era mai visto così poco entusiasmo all'Allianz Arena quando giocavano i Die Löwen.

 

Pochi giorni dopo il presidente Cassalette annunciò l'acquisto di Christian Gytkjær, un centravanti nemmeno troppo alto e nemmeno troppo grosso, come avrebbe sperato Bierofka, ma che per quattro anni aveva segnato parecchio in Danimarca, prima all'Haugesund, squadra che aveva come massima ambizione quella di finire a metà classifica, poi al Rosenborg: 19 gol, capocannoniere e vittoria in campionato, un tempo giocato con la maglia della Nazionale danese in amichevole.

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Si aspettava altro Daniel Bierofka, un giocatore esperto di calcio tedesco, uno che insomma potesse essere pronto subito e senza periodo di affinamento, ché la situazione era quasi disperata e c'era bisogno di fare risultati subito. Il suo scetticismo durò però solo poche ore. Christian Gytkjær sapeva giocare, aveva piedi più che discreti, soprattutto un buon tiro, era furbo in campo e inoltre, dote assai apprezzata, aveva l'umiltà di ascoltare e pensare più al bene di squadra che al proprio tornaconto personale.

 

Molto più scettica si era dimostrata invece parte della tifoseria. Su una fanzine del club bavarese venne pubblicato un commento di un “illustre tifoso” – così si firmava – che definiva Christian Gytkjær come “la stampella di Olić” e che sottolineava come “la società, incapace di intervenire per concedere la salvezza al club, quanto meno aveva dato agli occhi delle tifose un gran bel ragazzone per rendere, almeno a loro, meno traumatica la stagione”. Effettivamente il numero di spettatori dell'ultima parte della stagione aumentò, impossibile dire se fu merito dell'attaccante danese.

 

Christian Gytkjær rimase cinque mesi in Baviera. Non riuscì a salvare il Monaco 1860, ma lasciò un buon ricordo. Non fu “la stampella di Olić”, fu soltanto una stampella, qualcosa di solido a cui affidarsi quando le cose andavano male, e quell'anno male andavano spesso.

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Da allora Christian Gytkjær ha continuato a fare la stampella. Prima in Polonia, al Lech Poznań. Era arrivato per essere il centravanti di scorta, l'alternativa al connazionale Nicki Bille Nielsen, finì per giocare titolare, un gol dietro l'altro. Rimase tre stagioni, giocò 119 partite, segnò 65 gol. E sempre facendosi il mazzo per la squadra, tornando a recuperare palloni, giocando di sponda, prima di accelerare. Mica era sbagliato, in fondo in fondo, il giudizio dell'“illustre tifoso” del Monaco 1860.

   

  

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Quando il 22 luglio del 2020 il Lech Poznan annunciò la cessione di Christian Gytkjær al Monza, all'epoca neopromossa in Serie B, i tifosi polacchi si raccolsero davanti allo stadio, chiuso, per dedicate all'attaccante 65 secondi di applausi, un gesto di riconoscenza.

  

Lo conosceva nessuno Christian Gytkjær in Italia, tanto che venne descritto da molti come un centravanti vecchia maniera, “un ariete d'aria di rigore” (qualche eccezione c'è stata, tipo Cronache di spogliatoio). Parecchi furono i "mah" pronunciati e gli interrogativi sul perché Adriano Galliani avesse investito due milioni di euro e oltre mezzo milione l'anno per un attaccante capace di segnare solo in campionati della periferia del calcio europeo. Ci impiegò poco a farsi apprezzare anche in Brianza. E mica per i gol a grappoli, ma per il suo lavoro da stampella. Se c'era bisogno interveniva lui, in un modo o nell'altro. L'ultima volta domenica, contro la Juventus. Entra in campo al 54esimo, venti minuti dopo segna il gol dell'1-0, quello che basta per ottenere la prima vittoria in campionato. Contro la Juventus. Che per due come Silvio Berlusconi e Adriano Galliani vale triplo, e non per punti. Per glorie e rivalse passate, per speranze presenti, per il gol di quell'attaccante accolto con parecchio scetticismo e rivelatosi ancora una volta il giocare migliore al quale aggrapparsi quando si è in difficoltà. È mica un fenomeno Christian Gytkjær, ma per salvarsi spesso i fenomeni sono meno importanti di quei giocatori solidi, quadrati, pratici come un impermeabile da borsetta.

    


   

Olive è la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Nella prima puntata si è parlato di Khvicha Kvaratskhelia, nella seconda di Emil Audero, nella terza di Boulaye Dia, nella quarta di Tommaso Baldanzi, nella quinta di Marko Arnautovic, nella sesta vi ha invece intrattenuto Gabriele Spangaro con Beto.

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