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il foglio sportivo

In Inghilterra l'Europeo della svolta epocale per il calcio femminile

Moris Gasparri

Tra il 2015 e oggi la disciplina è esplosa e l'Italia è diventata un modello per il continente. Ma i problemi persistono: la poca attenzione fuori dalle grandi città e il ricorso a sociologia e politologia per ottenere il giusto riconoscimento

Siamo a fine maggio, a St George’s Park, l’avveniristica “Coverciano” inglese inaugurata nel 2012 nei pressi di Birmingham, e le due nazionali maggiori, maschile e femminile, si trovano in ritiro assieme per preparare i rispettivi impegni: la Nations League per gli uomini guidati da Gareth Southgate, e l’Europeo casalingo per le ragazze allenate da Sarina Wiegman. Data la concomitanza, la federazione deve stabilire la priorità per l’utilizzo del campo principale, che viene assegnata... alla Nazionale femminile. Ripetiamo: la priorità per l’utilizzo del campo principale di St George’s Park viene assegnata alla Nazionale femminile. Una decisione inaudita, totalmente impensabile fino a pochi anni fa, che dice molto del rango e della considerazione conquistati in patria dalle Lionesses, così il loro soprannome, dell’attesa che c’è in Inghilterra su questo Europeo appena iniziato, e, più in generale, di cosa sia nel frattempo diventato il calcio femminile.

 

Non è indifferente per il nostro discorso il luogo in cui è accaduto questo episodio. Parliamo infatti della nazione che ha inventato le regole e i codici che hanno permesso al calcio di svilupparsi in tutto il mondo.  


Parliamo della Nazionale che ha forgiato nell’ultimo ventennio l’egemonia globale (e neo-imperiale) della Premier League, ma che poco più di cento anni fa, dichiarandolo ufficialmente sport inadatto alle donne per mano di una sentenza federale, negò per mezzo secolo lo sviluppo di questa disciplina, salvo oggi diventare la nazione-faro anche per il movimento femminile, potendo vantare il campionato professionistico più importante del mondo (in grado di generare ricavi, fatto non secondario per gli sport femminili), oltre allo spettacolo dell’Old Trafford magicamente pieno per la partita inaugurale, in attesa della finalissima a Wembley del prossimo 31 luglio.

 

Se il centro di comando calcistico del pianeta si trova così strettamente coinvolto nello sviluppo del calcio femminile, è automatico pensare che gli effetti di irradiazione saranno notevoli nei prossimi decenni. Qualche anno fa un politologo americano di stanza a Yale, David Grewal, tentò di spiegare i processi di globalizzazione e i suoi standard di riferimento, per esempio l’uso dell’inglese, come pratiche che si estendono nella dinamica sociale e acquisiscono così tanta forza che per i nemici e gli avversari diventa a un certo punto sconveniente opporsi, costringendoli a entrarvi dentro e farne parte, magari dissimulando, ma accettandone le logiche. Lo definì “network power”. La storia recente dell’esplosione globale del calcio femminile, vista in particolar modo con gli occhi della vasta maggioranza del mondo maschile che gravita attorno al calcio – dirigenti, giornalisti, tifosi – ha un meccanismo di funzionamento per certi versi simile. 


Anche il potere del calcio femminile italiano si è notevolmente accresciuto, soprattutto quello della nazionale. Tre anni fa le azzurre di Milena Bertolini arrivarono ai Mondiali in Francia e scoprirono il grande calcio internazionale con un misto di stupore e ingenuità, pressappoco come Renzo Tramaglino appena arrivato a Milano che nel dodicesimo capitolo dei Promessi Sposi scopre per la prima volta la vita di città. La doppietta di Barbara Bonansea e la vittoria in rimonta contro l’Australia furono una sorta di sbarco sulla Luna di uno sport fino a poco prima quasi clandestino. A distanza di tre anni, tutti gli italiani appassionati di calcio conoscono Barbara Bonansea e Cristiana Girelli, il seguito di Rai e Sky per gli Europei femminili è pienamente paragonabile a quello per gli Europei maschili, e siamo certi che già dalla prima partita contro la Francia non mancherà lo scrutinio sulle scelte di Bertolini, il “siamo tutti cittì”, vera grande essenza del calcio, in quel gusto per la polemica sul quale un “filosofo” (suo malgrado) dello sport come Maurizio Mosca ne fondava metafisicamente la superiorità sugli altri sport con la palla. A distanza di tre anni, gli occhi delle nostre ragazze si sono fatti più esperti.

 

Quattordici su ventitré della spedizione inglese sono le stesse, ma diversità nella consapevolezza, nell’autostima, uno status internazionale certificato da grandi traguardi, dallo storico riconoscimento del professionismo di cui ha parlato persino la Cnn, alla Juventus capace di battere in casa il Lione nell’andata dei quarti di Champions League, per arrivare alle Azzurrine dell’under 19 di Enrico Sbardella che ai recentissimi Europei di categoria sono sì state eliminate, ma giocando alla pari con Spagna e Francia. Tra qualche decennio gli storici dello sport analizzeranno i cambiamenti intercorsi tra il 2015 e il 2022 nel calcio femminile italiano più o meno come oggi si analizza la Carta di Viareggio del 1926 per quello maschile: una trasformazione di sistema epocale, un’età assiale. 


Due riflessioni a margine: la prima riguarda la diversità italiana. Quello italiano è un modello unico nel contesto europeo. Il coinvolgimento obbligato dei club professionistici sta permettendo il raggiungimento di un ottimo livello qualitativo. Per esempio Italia-Francia di domenica sarà anche la sfida tra Laura Giuliani e Pauline Peyraud-Magnin, il passato e il presente dei portieri della Juventus, con la francese reduce dalla miglior stagione della carriera. Ad allenarle in questi anni un preparatore molto competente, Giuseppe Mammoliti, che ha anche scritto un saggio scientifico sul tema della preparazione specifica dei portieri donne. Però l’Italia registra una profonda diversità territoriale. È vero che le tesserate sono cresciute negli ultimi anni da venti a trentamila, ma restano numeri sideralmente distanti da quelli delle grandi nazioni. Nei grandi centri metropolitani Juventus, Inter, Milan e Roma possono ormai contare su duecento calciatrici tesserate a testa, comprendendo tutta la filiera del settore giovanile più la prima squadra (en passant, nel 2016 al primo provino della Juventus si presentarono solamente tre bambine, di cui una con le infradito), ma sappiamo che l’Italia è quella nazione in cui i paesini sotto a cinquemila abitanti compongono un pluriverso numericamente più denso degli abitanti delle suddette grandi città, e qui lo scenario muta radicalmente. L’Italia della provincia profonda è ancora poco recettiva nei confronti del calcio femminile, dove le scelte primarie restano quelle del volley o della ginnastica artistica o ritmica. 


La seconda riflessione si presenta sotto forma di interrogativo: può esistere un calcio femminile che non debba ricorrere alla sociologia e alla politologia – tradotto: i diritti, le tutele, il riconoscimento del professionismo, il pubblico che grida “equal pay” alla finale dei Mondiali francesi – come modo principale per ottenere attenzione pubblica? Ogni agonismo femminile è da sempre anche attivismo, da Alice Milliat che negli anni Venti del secolo scorso si batté per l’inserimento delle gare femminili di atletica nel programma olimpico, da cui De Coubertin, in ossequio al classicismo, voleva le donne estromesse, a Billie Jean King, madre putativa delle tenniste professioniste e “zia” di tutte le calciatrici americane, la prima a comprendere le profonde potenzialità in termini di marketing dello sport femminile, per arrivare alle latitudini italiane a Sara Gama, combinazione unica nel suo genere di calcio giocato, politica sportiva e ruolo simbolico. Sarebbe impossibile rappresentare il calcio femminile contemporaneo senza questa tenacia combattiva, eppure la novità di questo Europeo inglese è che mai come questa volta proprio il campo avrà la prima parola, soprattutto per le nuove possibilità del gioco determinate dal continuo innalzamento degli standard di forza e resistenza, che stanno rendendo obsolete le tante chiacchiere sui palloni più leggeri o le porte da restringere, incarnate in particolare da una nuovissima generazione di talenti (un nome su tutti: l’inglese Lauren Hemp). La prossima frontiera di avanzamento del network power del calcio femminile? Calciatori che verranno descritti nelle loro caratteristiche attraverso il paragone con delle colleghe.

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