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Pechino 2022

Perché l'Islanda va così male alle Olimpiadi invernali?

Andrea Trapani

Sembrerebbe normale vedere gli islandesi protagonisti ai Giochi olimpici, nonostante sia una piccola (ma ricca) nazione. Non è invece così, anzi non lo è mai stato

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A due passi dal Polo Nord, non solo metaforicamente, si trova l’Islanda, un’isola nazione che è famosa per le sue caratteristiche geografiche uniche come lo stridente contrasto fra i vulcani e i ghiacciai, dicotomia per cui le è stato attribuito il soprannome di “terra del Ghiaccio e del Fuoco”. La stessa bandiera del paese, infatti, è specchio fedele delle due forze contrapposte: il rosso della croce rappresenta la lava vulcanica, il contorno bianco i ghiacciai e il blu il mare che la circonda.

L’immaginario comune è orientato più alla neve e al freddo che a tutto il resto. In quest’ottica sembrerebbe altrettanto normale vedere, nonostante sia una piccola (ma ricca) nazione, gli islandesi tra i protagonisti delle Olimpiadi di Pechino. Così non è. Anzi, c’è un piccolo paradosso sportivo tutto da raccontare.

  

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Il paradosso sportivo dell’Islanda

Insomma, un’isola vocata, per sua intrinseca natura, all’affermazione negli sport invernali ha le sue (poche) medaglie olimpiche conquistate esclusivamente nelle edizioni estive.

L’ultima medaglia, un argento vinto proprio a Pechino, è arrivata dalla pallamano maschile, otto anni dopo il bronzo nel salto con l’asta femminile grazie a Vala Flosadóttir. Anche la prima medaglia assoluta, un argento nel 1956, è arrivato dall’atletica con Vilhjálmur Einarsson nel salto triplo. Bjarni Friðriksson, a Los Angeles 1984, invece conquistò un bronzo nel judo. Nessun sport invernale nel medagliere.

Una bizzarria per uno dei piccoli stati più forti in assoluto a livello sportivo: se nel conteggio tra le micronazioni alle Olimpiadi si trova alle proprie calcagna l’agguerrita San Marino autrice di un incredibile exploit a Tokyo 2020, in altre discipline ha risultati di tutto rispetto.

Tutti ricordano i quarti di finale raggiunti negli Europei del 2016 oppure l’esordio nei Mondiali 2018 dove era presente da protagonista mentre i tifosi italiani guardavano da casa la competizione. Adesso quella generazione di fenomeni sta affrontando un calo fisiologico, ma per anni l’isola è stata una storia di successo, di competenza e di visione a lungo termine in uno sport competitivo come il calcio. Un risultato che vale doppio per una realtà con una popolazione di poco superiore ai 365.000 abitanti, capace di tenere testa a intere federazioni con centinaia di migliaia di tesserati.

 

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Neve e ghiaccio non bastano per le Olimpiadi

Negli sport invernali invece è vittima dello stesso paradosso. Vero è che, nonostante la posizione artica, l’estensione totale di tutti gli impianti sciistici è pari a quella di una stazione appenninica. In Islanda esistono, infatti, 76 km di piste con 46 impianti di risalita. Numeri modesti se si considera che l’estensione dell’isola supera i 100.000 kmq (ovvero ben più di Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto messe assieme) ma che trovano una spiegazione razionale analizzando l’altezza relativamente bassa delle montagne sull’isola (il monte più alto, l’Hvannadalshnjúkur, supera di poco i 2.100 metri) che costringe le località sciistiche a essere posizionate intorno ai 1.000 metri. Ovvero con la neve solo tra novembre e aprile, come capita nell’Europa continentale. La scarsa densità abitativa, sommata all’elevata presenza di attività vulcanica, infine ha ridotto solo a una piccola area dell’isola le possibilità di sviluppare attività come lo sci alpino o lo snowboard. Difficile crescere con questa orografia.

Basta tutto questo per spiegare come mai l’Islanda non abbia ancora vinto una sola medaglia olimpica invernale in tutta la sua storia? Probabilmente no. Il “Wall Street Journal”, nel 2014, aveva provocato gli islandesi scrivendo che se la Norvegia aveva già vinto oltre 320 medaglie alle Olimpiadi invernali, in proporzione l’Islanda avrebbe dovuto vincerne almeno 20 nello stesso periodo. “I norvegesi sono i nostri antenati, siamo praticamente le stesse persone”, furono i primi commenti – piuttosto stizziti – dei giornalisti locali.

Lo stesso WSJ provò a dare una spiegazione:  “Con soli 320.000 abitanti, il bacino dei potenziali olimpionici è poco vasto. La maggior parte dei migliori atleti è attratta da sport più popolari che possono essere praticati tutto l'anno (grazie ai numerosi impianti al chiuso, ndr). Una volta che Sæ​var Birgisson, uno dei cinque atleti islandesi presente a Sochi 2014, ha preso sul serio lo sci di fondo, ha dovuto trasferirsi nel sud della Svezia per allenarsi".  Insomma, i risultati dimostrano ciò che gli islandesi sanno da tempo. Ovvero che per sciare e pattinare servono neve e ghiaccio. Forse non ne hanno abbastanza. O forse pure troppo.

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