PUBBLICITÁ

Soffocati nell’anglosfera

Nicola Pedrazzi

Coltescu e Cavani hanno parlato le loro lingue in pubblico e sono stati accusati di razzismo. Solo il secondo è stato difeso dalle istituzioni del suo paese e la cosa ha fatto la differenza. Ma nell’anglofonia essere innocenti non basta.

PUBBLICITÁ

Più di un mese è passato dalla sospensione della partita tra Paris Saint-Germain e Istanbul Başakşehir e dalla UEFA Champions League non si hanno aggiornamenti sul destino disciplinare del quarto uomo Sebastian Coltescu, accusato di razzismo per aver descritto all’arbitro la persona da espellere con queste parole: “Quello nero laggiù. Vai a vedere chi è, non è possibile comportarsi così”. Frase pronunciata in cuffia e in rumeno – lingua in cui non esiste un utilizzo discriminatorio della parola “negru” –, ma, complice l’assenza di pubblico sugli spalti, carpita e raccontata come se il viceallenatore Pierre Webó fosse stato buttato fuori al grido di “nigga”.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Più di un mese è passato dalla sospensione della partita tra Paris Saint-Germain e Istanbul Başakşehir e dalla UEFA Champions League non si hanno aggiornamenti sul destino disciplinare del quarto uomo Sebastian Coltescu, accusato di razzismo per aver descritto all’arbitro la persona da espellere con queste parole: “Quello nero laggiù. Vai a vedere chi è, non è possibile comportarsi così”. Frase pronunciata in cuffia e in rumeno – lingua in cui non esiste un utilizzo discriminatorio della parola “negru” –, ma, complice l’assenza di pubblico sugli spalti, carpita e raccontata come se il viceallenatore Pierre Webó fosse stato buttato fuori al grido di “nigga”.

PUBBLICITÁ

 

  

 

PUBBLICITÁ

In attesa di sapere come la Uefa uscirà dall’imbarazzo – i fatti accertabili sembrano infinitamente meno gravi delle accuse che sul piano mediatico hanno giustificato una sospensione che si fatica a rinvenire nei regolamenti sportivi – un’altra vicenda disciplinare, diversa negli interpreti ma simile nella meccanica, è invece arrivata a compimento, riproponendo il problema della pretesa di applicare su lingue, culture e mentalità esterne e per molti versi estranee all’anglosfera i valori e le dispute che agitano le società anglofone. Il caso è ormai celebre e riguarda Edison Cavani, attaccante del Manchester United sanzionato dalla Football Association (la federcalcio inglese) per aver scritto “gracias negritoa commento di una Instagram story di un amico che si complimentava per la doppietta appena realizzata contro il Southampton. Tre giornate di squalifica, 111.000 euro di multa e un percorso rieducativo obbligatorio sono stati comminati a una persona che ha interagito con un suo amico nella propria lingua, utilizzando un termine che gli uruguaiani usano per esprimere affetto, a prescindere dal colore della pelle della persona che vogliono coccolare.

 

La differenza con il caso Coltescu sta nella reazione e nella forza del paese di appartenenza. Se in Romania le istituzioni politiche e sportive si sono allineate alle straordinarie misure Uefa, scaricando in buona sostanza i propri arbitri, dall’Uruguay non sono mancate proteste ufficiali. La prima a reagire è stata l’Academia National de Letras (la “Crusca” dell’Uruguay), che il 31 dicembre ha pubblicato una dichiarazione per spiegare che negrito, gordo (grasso) e flaco (magro) sono parole quotidianamente usate tra parenti e amici, senza che ci sia un collegamento con le caratteristiche fisiche della persona. Ma la presa di posizione più interessante è arrivata il 3 gennaio dall’Associazione dei calciatori uruguaiani, con una nota che  non si limita a riscattare la reputazione del proprio campione nazionale ma propone un’analisi generale dell’accaduto, spingendosi addirittura a chiedere alla federazione inglese di “rivedere immediatamente i suoi processi decisionali su questi temi, in modo da non commettere mai più ingiustizie simili”. Il documento, pubblicato sia in spagnolo che in inglese, denuncia la “condotta arbitraria della Football Association” per ragioni di fondo, perché “invece di condannare il razzismo ha essa stessa commesso una discriminazione”: “Siamo tutti contro ogni forma di discriminazione – si legge nella dichiarazione – ma sfortunatamente, con questa sanzione, la FA ha dimostrato un’ignoranza assoluta e disprezzo per una visione multiculturale del mondo rispettosa della sua pluralità, imponendo erroneamente e unilateralmente le sue regole anti-razziste, le cui basi supportiamo anche noi, ma che non sono realisticamente applicabili al caso in questione. Non è stata punita solamente una persona, ma la nostra intera cultura, il nostro modo di vivere, il che è un atto discriminatorio e razzista”. Sulla stessa linea è poi seguito il comunicato della Confederación sudamericana de Fútbol (il CONMEBOL, l’omologa della Uefa), che ha osservato come “il giudizio di questo tipo di dichiarazioni debba essere sempre effettuato tenendo conto del contesto in cui sono state fatte e, soprattutto, delle peculiarità culturali di ogni giocatore e di ogni paese”.

 

 

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Va detto che, come osserva Daniele Manusia sul sito specializzato l’Ultimo uomo, anche queste prese di posizione, cariche di orgoglio di popolo e di espressioni un po’ fumose come “stile di vita”, nascondono omissioni funzionali al messaggio che si intende lanciare. Ad esempio è certamente vero che Instagram è un luogo pubblico – chi ha otto milioni di follower non può pretendere che quello che scrive sia ascoltato soltanto dalle orecchie di un suo amico – e che Cavani è tenuto a conoscere il regolamento del campionato in cui ha accettato di giocare, il quale in effetti non sanziona il razzismo inteso come obiettivo ma vieta ai giocatori qualsiasi riferimento a “origine etnica, colore, razza, nazionalità, religione, genere, orientamento sessuale, disabilità”, dentro e fuori dal campo. Tuttavia rilevare che tanto Coltescu quanto Cavani avrebbero potuto essere più professionali o consapevoli dell’ambiente in cui lavorano non elimina il problema culturale individuato dalle proteste uruguaiane: se l’obiettivo è il rispetto dell’altro in ambienti internazionali, perché giocatori stranieri dovrebbero temere di usare la propria lingua? Cavani è una celebrità ed è ricco, diversamente da Coltescu ha le spalle abbastanza larghe per uscire indenne da questa vicenda; ma applichiamo lo stesso principio a un impiegato di una multinazionale: cosa penseremmo di un datore di lavoro che imponesse sanzioni economiche e – è questa la cosa più insopportabile e offensiva – corsi di rieducazione per un post evidentemente innocuo, scritto nel tempo libero?

 

PUBBLICITÁ

Nell’articolo summenzionato, che sdrammatizza ma non nega il caso di razzismo, a Manusia scappa un inciso che è illuminante, e che racchiude il nocciolo della questione. Ricalcando la logica del regolamento della federazione inglese, Manusia scrive: “È problematico di per sé discriminaredistinguere, differenziare – una persona in base al colore della pelle”. Passo dopo passo, anche tra intelligenti si sta arrivando a concludere che qualsiasi distinzione è, di per sé, discriminante: a credere che il colore della pelle sia una condizione innominabile (e quindi, alla fine del giro, a suggerire che il colore della pelle sia davvero un problema). Una conclusione estrema (mai e in nessun caso menzionare la pelle scura…) che non sorprende vada a braccetto con il suo opposto (…a meno che non sia per esaltarla come unica caratteristica!), come sempre in questi giorni dimostra la polemica piovuta sui grafici di “Vogue Us”, accusati di aver scolorito la carnagione di Kamala Harris invece di valorizzare “la prima donna nera vicepresidente”.

 

 

 

In effetti, se mi convinco che distinguere senza esaltare equivalga a discriminare, allora sì, Coltescu ha discriminato Webó, poco importa che parlava rumeno. Il problema è che se mi convinco di questo, se mi convinco che il contesto in cui parlo, la persona a cui parlo, la lingua che uso e quello che ho nel cuore mentre lo faccio non partecipino al senso di quello che dico, allora non posso più nemmeno chiedere “da dove vieni” a chi ha un accento diverso dal mio in stazione. Non posso più essere curioso. Non posso più esperire. Non posso più vivere senza paura di esprimermi. Il prezzo è alto. Essere disposti a pagarlo per il bene dei fragili è un bel gesto, ma prima sarebbe utile fare un bilancio dei risultati politici e sociali che queste regole garantiscono nell’anglosfera. Donald Trump e Nigel Farage sono stati arginati? Le minoranze come se la passano? Rispondere “e pensa se non c’erano nemmeno queste regole” può andare bene in un tweet, ma non è un’analisi. Almeno in relazione al resto del mondo il dubbio che è molto sano avere è se i provvedimenti oggettivamente demonizzanti della federazione inglese, in una realtà globalizzata e interconnessa che rende la Premier League un fatto planetario, non finiscano per insegnare ai ragazzi delle scuole calcio uruguaiane e rumene a usare “negrito” o “negru” (insomma il “nero” latino) in maniera discriminatoria. Perché consegnare un colore al razzismo, anche dove la storia della lingua ha preso altre e migliori strade?

 

In un calcio in cui i giocatori sono pubblicità viventi è difficile che dai singoli provengano parole libere e di coraggio, e il ruolo delle istituzioni diventa ancor più importante. È indicativo che Cavani abbia dapprima cancellato il post incriminato e accettato senza difendersi la squalifica, e che un mese più tardi, dopo aver raccolto tanta solidarietà, si sia azzardato a far filtrare anche il suo disagio: “Accetto la sanzione disciplinare – ha scritto sempre su instagram – sapendo che sono uno straniero che approda ai costumi della lingua inglese, ma che non ne condivide il punto di vista”. Dinanzi a proteste civili ed argomentate, il 7 gennaio la federazione inglese è stata costretta a riconoscere l’inesistenza della discriminazione – “La commissione comprende che quella risposta era affettuosa e che non fosse razzista o offensiva né per il suo amico, né per gli altri utenti” – ma non potendo ritirare la sanzione, già scontata sul piano sportivo e per quanto ingiusta coerente alle regole in vigore, ha scaricato la responsabilità sul Manchester United, con una piroetta degna dell’azzeccagarbugli manzoniano: “Alla luce dell'alto profilo del giocatore, della sua incapacità di parlare inglese e del fatto che abbia quasi otto milioni di followers, la commissione è rimasta sorpresa che il suo club non abbia messo in atto una formazione in merito al nostro regolamento sull’utilizzo dei social network”. Nel mentre fuori dall’anglosfera la protesta prosegue allegra – circola in queste ore la notizia di un nuovo vino uruguaiano “gracias negrito”. L’orgoglio latino scatenato dal caso Cavani mi ha ricordato una delle ultime interviste che Maradona ha rilasciato in italiano. Siamo su mamma Rai, e nei minuti di recupero Fabio Fazio ha un guizzo: “Arrivato alla tua età, c’è una cosa che sei sicuro di aver capito?”. Maradona si fa serio, e sceglie di consegnarci queste parole e non altre: “Ho capito che gli Stati uniti comandano il mondo, credono di comandare il mondo, però noi non siamo tutti americani”.

 

 

PUBBLICITÁ