11 novembre 2001, Maradona commosso con le figlie nel giorno del suo addio al calcio (foto LaPresse)

La Vergine e la gattina

Maradona fu figlio del suo tempo, unito a modo suo

Quei baci alla Madonna e al poster di una donna seminuda dopo la vittoria del Mondiale 1986 nel documentario di Kapadia

Piero Vietti

In questi giorni di distinguo moralisti è bene ricordare questo suo tenere insieme tutto in modo così sudamericano, abborracciato, confuso ma vero

Ci sono due scene, del  documentario sul Pibe de oro di Asif Kapadia del 2019, “Diego Maradona”, che spiegano più di mille editoriali, aneddoti, analisi più o meno moraliste e ricordi letti in questi giorni chi era l’aquilone cosmico che  fece a pezzi l’Inghilterra e poi vinse il Mondiale del 1986. La prima è un’intervista fattagli subito dopo la vittoria della Coppa del mondo: Maradona è sdraiato sul letto in cui dormiva durante il ritiro – una cosa impensabile oggi, con i campioni filtrati da addetti stampa, responsabili della comunicazione, uffici stampa del club e della Nazionale  e social media cosi – e fa vedere foto, immagini e poster che aveva attaccato alle pareti accanto al suo letto. “Riprendimi con la mia ragazza, altrimenti dice che non l’avevo vicina”, dice al cameraman chiedendogli di inquadrare una foto di Claudia appesa accanto al suo cuscino. “E non dimenticare Valeria”, dice subito dopo, riferendosi a un poster di Valeria Lynch, cantante e attrice argentina. Poi indica un piccolo quadro della Virgen de Guadalupe, “la Vergine Maria”, dice baciando l’immagine della Madonna. Infine, dopo avere fatto vedere un cartoncino regalatogli dalla fidanzata, dice: “Riprendimi qui, vicino a lei”, e la telecamera inquadra il poster di una donna con tette e pelo di fuori. “Ti ha dato la giusta motivazione?”, chiede l’intervistatore. “Eccome”, risponde Diego, stampandole un bacio identico a quello appena dato alla Vergine Maria e aggiungendo “bella gattina”.

 

In questi giorni di distinguo moralisti è bene ricordare questo suo tenere insieme tutto in modo così sudamericano, abborracciato, confuso ma vero. Erano i giorni in cui sapeva di aspettare un figlio da una donna che non era la sua fidanzata, e che avrebbe riconosciuto solo molti anni dopo. Maradona conteneva moltitudini, eppure  il bacio alla Madonna e alla coniglietta seminuda dopo il saluto alla fidanzata avevano lo stesso slancio umanissimo (che abbiamo ritrovato in quel video in cui, con fare da lanciacori in curva, un tifoso del Napoli ha fatto partire un “Eterno riposo” davanti al San Paolo, al grido di “tutti insieme guagliò”, per “mandare Maradona in Paradiso”). Diego era figlio di un tempo che oggi farebbe orrore alle femministe che impiccano sui social gli editori colpevoli di non apprezzare lo stile di certe scrittrici e fanno chiudere programmi in cui si ride della spesa fatta sui tacchi. In un’altra scena del documentario, si vede un inviato (presumibilmente Rai) intervistare i tifosi in visibilio per le strade di Napoli dopo la vittoria della Coppa Uefa. “Una domanda un po’ indiscreta – chiede a due ragazze verosimilmente minorenni mentre in mano tiene una sigaretta – quale giocatore del Napoli vi portereste a letto stasera?”. “Maradonaaaa”, urlano in coro. “E tu?”, chiede a un ragazzo l’inviato televisivo. “La moglie di Bagni!”. “È bella eh – dice il giornalista – e anche la moglie di Giuliani…”.

 

Questo per dire la pena che fanno gli esperti dei distinguo, i maestri del “grande giocatore ma pessimo uomo”, i fissati dello sportivo che deve dare il buon esempio, i capi della morale. Maradona era figlio del suo tempo, ma soprattutto era unito, libero di essere schiavo delle sue passioni e delle sue passionacce, se ne fregava della coerenza, aveva una fiducia  meravigliosamente meridionale nella misericordia di Dio, non ha mai voluto essere qualcuno da imitare, semmai qualcuno da guardare in campo. Dopo l’addio al calcio giocato è stato inghiottito dalla retorica del suo mito, che qui abbiamo spesso preso in giro, se anche allenava malissimo una squadra non lo si poteva dire per non mancare di rispetto al dio del calcio. In questi giorni in cui siamo sommersi dalle immagini dei suoi gol, dai racconti della sua vita e dalle prediche di improvvisati fustigatori dei costumi, ci è  impossibile non brindare al re degli irregolari, e non perdonargli tutto.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.