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Il Foglio sportivo - il ritratto di Bonanza

Maradona, l'onnipotente fragile

Il “male” di Diego è stato quello di portarsi quell’impossibile dentro una vita normale, fatta di giornate vuote, piene, con il sole o con la pioggia

Seguendo Diego, si stava dietro una scia. Le sue scorribande sul campo trasformavano ogni giocata in folate di vento leggero, piccoli miracoli di suggestione. Diego Armando Maradona, uscito dal campo ha smesso di essere quei miracoli e si è trasformato in un uomo. Con le sue bruttezze, le sue debolezze, i suoi abbandoni. Per questo, perderlo così, all’improvviso, ci lascia dentro la consapevolezza di quanto l’uomo, qualsiasi uomo, anche chi vi scrive, sia piccolo e imperfetto di fronte a Dio. Perché Diego è stato un dio fatto uomo: celestiale con il pallone, vano, perfino dannoso senza di esso. E questa amara constatazione non fa altro che rafforzare l’idea di come il calcio rappresenti, sovente e nelle sue manifestazioni più importanti, la metafora di un grande abbaglio, di una sorta di allucinazione, di una inspiegabile forma di espressione dell’anima.

 

Quella di Diego era un’arte astratta, inconcepibile sul momento, in quanto inesistente fino all’attimo precedente alla sua realizzazione. Come hai fatto? Non c’è una risposta precisa, non potrà mai esserci da parte di chi confuta la realtà con gesti appartenenti all’impossibile. Il “male” di Diego è stato quello di portarsi quell’impossibile dentro una vita normale, fatta di giornate vuote, piene, con il sole o con la pioggia. Dove ci sono una famiglia, un lavoro, delle responsabilità. Affrontando invidie, bontà, cattiverie, tristezza, gioia, prigionia, libertà, malattia, sofferenza, guarigione, in forma progressiva, come tappe di ordinaria quotidianità. Maradona, tolte le scarpette da calciatore, privato del pennello di artista, svuotato della sua divinità, ha affrontato la realtà come un cieco tra la folla. Strattonato, spinto a terra e calpestato per via della sua inadeguatezza. La fragilità del genio è un tema ricorrente nella storia dell’uomo. Ma un conto è pensare a un pittore o a uno scrittore, un musicista, ripiegati su stessi, su tele, quaderni e pentagrammi, geni senza alcuna pretesa di vittoria, un altro è pensare a Maradona, che su quelle gambe forti e quel fisico compresso ha sopportato il peso di una città come Napoli e addirittura di una intera nazione come l’Argentina. E ha vinto sì, ha vinto da solo, senza mai farlo pesare. Come può un genio così potente, giusto e indomabile, essere stato un uomo tanto debole? E’ la domanda che ci accompagna in questi giorni tristi, dove il sole, tra le nuvole, ci guarda di soppiatto dalla finestra. E nel ricambiare quello sguardo che va e che viene, pensiamo che una risposta a questa domanda così importante non riusciremo a darla mai.

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