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Spazio Okkupato

Il Selfismo è la corrente letteraria che (ahinoi) domina in Italia

Giacomo Papi

La convinzione che i fatti propri interessino agli altri. Un tempo era materia per psicologi, cartomanti o astrologi. Oggi, invece, spesso spinge a scrivere romanzi

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In Italia è egemone da anni una nuova corrente letteraria di cui non parla nessuno, tanto meno chi ne fa parte. Il Selfismo è fondato sulla convinzione, assoluta e inscalfibile che i fatti propri interessino agli altri. E’ una fiducia per cui, un tempo, in genere si cercava uno psicologo, un cartomante o un astrologo e che, oggi, invece, spesso spinge a scrivere romanzi. Alcuni sono belli, naturalmente, anche molto belli, molti sono medi e tantissimi bruttini perché l’autobiografismo, o autofictionismo che sia, non è un criterio di valore dal momento che comprende libri sommi e libri infimi, che vanno dalla Recherche du temps perdu di Marcel Proust a Una vita da guerriero di Marco Materazzi. A essere in questione non è, quindi, la qualità delle opere selfiste, ma la pretesa che le sorregge e giustifica, e l’aura di cui sono ammantate. 

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In Italia è egemone da anni una nuova corrente letteraria di cui non parla nessuno, tanto meno chi ne fa parte. Il Selfismo è fondato sulla convinzione, assoluta e inscalfibile che i fatti propri interessino agli altri. E’ una fiducia per cui, un tempo, in genere si cercava uno psicologo, un cartomante o un astrologo e che, oggi, invece, spesso spinge a scrivere romanzi. Alcuni sono belli, naturalmente, anche molto belli, molti sono medi e tantissimi bruttini perché l’autobiografismo, o autofictionismo che sia, non è un criterio di valore dal momento che comprende libri sommi e libri infimi, che vanno dalla Recherche du temps perdu di Marcel Proust a Una vita da guerriero di Marco Materazzi. A essere in questione non è, quindi, la qualità delle opere selfiste, ma la pretesa che le sorregge e giustifica, e l’aura di cui sono ammantate. 

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Con la parziale eccezione dei romanzi storici, che in Italia sono rispettati, i libri che raccontano storie sono relegati alla narrativa di genere o femminile (difficilmente, per esempio, vinceranno il Premio Strega). Eppure sono quelli che vendono di più, i più cercati dal pubblico perché, per fortuna, il bisogno di storie non può essere soddisfatto solo da Netflix. A essere qui in discussione è il fatto che oggi, in Italia, molto più che altrove, siano considerati letterari quasi esclusivamente i libri che giocano sull’ambiguità tra verità e fiction o raccontano la vita degli autori e delle autrici, mettendoli in scena come personaggi pubblici. E’ questo, infatti, il tratto che distingue il Selfismo dall’autobiografismo generico, e il suo tratto di contemporaneità: per l’autore lo scopo dello scrivere è costruire la propria immagine pubblica e conquistare attenzione e visibilità. Esattamente come fanno gli influencer sui social.

 

Si dirà: inventare il proprio personaggio è sempre stato importante per veicolare un libro. E’  vero, soprattutto in Italia, dove c’è una tradizione plurisecolare di scrittori la cui opera è stata anche la vita. Giacomo Casanova, Vittorio Alfieri, Foscolo, D’Annunzio, Malaparte, per arrivare fino a Pasolini, Fallaci e, perfino, Saviano confondono biografia pubblica e opera, sfumandole l’una nell’altra, fino a essere indistinguibili. Ma si tratta sempre, per una ragione o per l’altra, di vite eccezionali, eroiche, dove si rischia qualcosa. Il Selfismo si distingue, invece, perché mette in scena esistenze comuni o inconsuete modellate in modo che il maggior numero possibile di persone possa riconoscersi o esserne attratto. La novità storica del Selfismo, il suo tratto contemporaneo, cioè, consiste proprio nell’inseguire la medietà esemplare o la bizzarria, non l’eroismo, ispirandosi ai suoi modelli segreti e inconfessabili, Chiara Ferragni o i Kardashian-Jenner. 

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E’ uscito da poco per Ponte alle Grazie Con voce umana, un piccolo, strano libro di Laura Boella, che ruota intorno a un incontro mancato tra Maria Callas e Ingeborg Bachman avvenuto a Milano nel 1956 per una Traviata diretta da Visconti. “E’ ancora possibile distinguere la persona dal personaggio?”, si chiede Boella, “Persona in latino vuol dire maschera, quella che l’attore nell’antichità indossava a teatro. La radice del verbo per-sonare rinvia al fatto che attraverso la maschera e i molteplici ruoli e travestimenti risuonava la voce dell’attore, unica e inconfondibile”. Boella riflette proprio sul rapporto tra arte e vita, individuando il loro legame nel corpo, nella sua capacità di soffrire e impersonare quello che rappresenta. “Callas riuscì a non cancellare dall’artista l’esperienza della donna che era”. 

 

Che cos’ha a che fare questo con l’autobiografia? Niente. Tutti raccontano di sé, sempre. Ma si può provare a farlo come Callas che diventa Violetta cantando, o Kafka che si trasforma nello scarafaggio di cui scrive, quindi cercando storie universali, oppure raccontando di sé come si fa con gli sconosciuti in treno, nella speranza che questo basti a trasformarti in uno spettacolo degno di attenzione. Opera e vita stanno sempre in un equilibrio, ma oggi quell’equilibrio pende verso la vita: se l’opera è povera un personaggio speciale può renderla interessante, ma se avviene il contrario, e cioè se l’opera è meglio del personaggio che l’ha creata si farà molta fatica sollevarla. Accade per l’arte e per i libri, cioè, quello che accade nel mercato: perché qualcosa sia considerato desiderabile, almeno dalla massa, occorre preliminarmente rendere attraente il marchio che lo veicola, che in questo caso è l’autore. Non c’è niente di male in questo. Basta non pretendere che quella sia la strada per l’arte pura, la letteratura vera e “perturbante”, come amano ripetere i teorici del Selfismo, non solo perché non perturba quasi mai, ma perché puntare sul personaggio-autore rischia di trasformare gli scrittori in influencer e la letteratura in una sottocategoria del gossip. 
 

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