Introdacqua, comune nella valle Peligna, provincia di L'Aquila in Abruzzo (Foto by Elisabetta Zavoli/Getty Images) 

No, la pandemia non sposterà nei piccoli borghi il cuore produttivo del paese

Guglielmo Barone e Sergio Scicchitano*

La disoccupazione nei centri e nelle aree interne, lo smart working e il futuro dell'urbanizzazione post Covid

Calato il sipario sull’elezione dei sindaci, è l’ora di amministrare le nostre città. Fare questo, nell’anno 2021, significa rispondere a una domanda nuova: come immaginiamo il futuro dell’urbanizzazione nel post Covid? Proseguirà la concentrazione di quote crescenti di popolazione nei centri maggiori con il conseguente spopolamento di quelli minori? O, al contrario, i comuni più piccoli potrebbero recuperare terreno, come suggerisce una certa narrativa recente che vagheggia scelte di vita capaci di conciliare il calore del piccolo borgo (più o meno) natìo con le opportunità professionali delle grandi città? Rispondere a queste domande è tanto impegnativo quanto necessario per supportare con una qualche evidenza il disegno delle politiche urbane e territoriali. Per esempio: ha senso investire su di una nuova linea tramviaria se questa serve a decongestionare una parte di città comunque destinata a spopolarsi? Quali investimenti occorre finanziare con la strategia nazionale delle aree interne se il tema della disoccupazione nei piccoli centri è risolto, inaspettatamente, dal lavoro a distanza?

   
Su questo giornale Stefano Cingolani ha già affrontato il tema. Noi vorremmo offrire alla discussione un paio di argomenti ulteriori. Il primo ha a che fare con quanto lavoro è ragionevolmente esercitabile da casa, dopo che la pandemia ha abbattuto una vecchia barriera culturale, legittimando, dove possibile, forme più agili di prestazione lavorativa. Partendo dai dati Inapp-Istat, abbiamo assegnato un punteggio alla lavorabilità a distanza di ciascuna professione (per esempio, tale punteggio è massimo per un traduttore, minimo per un pescatore) e ricondotto quindi tali punteggi alle città (in base alla diffusione delle varie professioni nelle singole città). Ebbene, si stima che nella media dei comuni italiani la quota di lavoro esercitabile da casa senza troppe difficoltà sia elevata, compresa tra un terzo e un mezzo. Emerge inoltre che l’indicatore è più alto nei grandi centri, tipicamente più congestionati, e al nord. Abbiamo quindi in mano una leva importante. Cosa farne? 

   
Qui veniamo al nostro secondo punto che ruota invece intorno alla domanda se, nel lungo termine, il riequilibrio demografico a favore dei centri minori, favorito dal lavoro a distanza, sia probabile e se sia auspicabile. In entrambi i casi la risposta è negativa. Per capire perché, occorre fare un passo indietro. La storia dei paesi avanzati mostra che una moderna economia terziarizzata beneficia molto dell’agglomerazione urbana, del fatto cioè che la popolazione si distribuisca sul territorio in un numero relativamente contenuto di aree urbane densamente popolate. Questo perché la densità favorisce un miglior incontro tra domanda e offerta di lavoro, salari più alti, maggiore innovazione e produttività, con un beneficio per l’intera economia. Semmai il problema è che in Italia questi vantaggi dell’agglomerazione sono stati meno sfruttati che altrove, non solo per ragioni storiche ma anche per fattori potenzialmente aggredibili dalla politica economica: nei grandi centri, un vasto patrimonio immobiliare inutilizzato, il mancato sviluppo di un sistema di trasporto pubblico di livello europeo, la centralizzazione salariale che non permette di allineare i salari alla produttività. Tutti fattori che hanno limitato la crescita delle città italiane, molto più congestionate di altre a parità di densità di popolazione. Non vi è motivo di ritenere che nel post Covid queste spinte all’urbanizzazione vengano meno. Né sarebbe auspicabile, visto il ruolo delle città come motore della crescita. E’ importante quindi che il salto culturale del lavoro da remoto non sia il pretesto, ben nascosto dietro alla retorica consolatoria e un po’ regressiva del piccolo borgo, per non affrontare i limiti alla crescita delle aree urbane. Potrà invece essere una leva importante – questo sì – per ridurre la congestione e rilanciare quindi una tendenza all’urbanizzazione meglio conciliabile con la qualità della vita. Per esempio, attraverso una maggiore diffusione di forme ibride, con alternanza di giornate in sede e giornate a casa, che limitino gli spostamenti lavorativi, favoriscano la conciliazione vita-lavoro, mantenendo però prossimità e interazione tra colleghi, vero lievito dell’innovazione e della creatività.

  

Guglielmo Barone, Università di Bologna


Sergio Scicchitano, Inapp (le opinioni dell’autore non riflettono quelle dell’Inapp)