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Gli uomini gusto puffo: fuori dal coro, ma tutti dal sapore indefinibile

Mariarosa Mancuso

Il libro di Gene Gnocchi che parla di tutti noi, fieramente convinti di essere fuori dal branco quando nel branco ormai non c'è più nessuno da un pezzo

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Mai avuta un gran passione per il gelato. Ma se gelato doveva essere, solo cioccolato e panna. Senza cedimenti alla frutta. Il pistacchio era sospetto, il verdolino sembrava venire da una tintura sbagliata, color pelle di mostro – per nulla appetitoso. Poi abbiamo visto il “gusto puffo”, e la nostra già scarsa fiducia nell’umanità è scesa di un altro gradino.

 

Viene in aiuto Gene Gnocchi. Lo scrittore di “Cosa fare a Faenza quando sei morto”  torna in libreria con “Il gusto puffo” (Solferino). Fornisce una spassosa fanta-biografia dell’inventore, levando di mezzo la leggenda del gelataio ignoto che con il suo carrettino batte la riviera romagnola. Rivela che egli fu cremato con chicchi di mais in tasca, che raggiunto il calore sufficiente si tramutarono in pop corn. Soprattutto, aggiunge un prezioso tassello agli innumerevoli sforzi fatti nel tentativo di capire come siamo diventati. O forse già eravamo, senza saperlo. “Un’umanità al gusto puffo, ognuno fiero del suo colore un po’ sopra le righe, ma senza il coraggio di uno scarto di personalità al di là di quel sapore indefinibile che tende alla vaniglia”. E’ quel che succede quando tutti sono convinti di essere fuori dal coro – e nel coro non c’è più nessuno da un bel pezzo.

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Ognuno detentore di certezze granitiche, costruite se va bene su un malinteso”. Applauso. E siamo solo all’inizio. Non abbiamo ancora letto il racconto dell’attore continuamente scavalcato, incapace di scegliersi le parti. Tra i film che prima o poi qualcuno dovrebbe girare c’è “Robin Hood contro il Reddito di cittadinanza”, qui attribuito a Pappi Corsicato (il nostro rinuncia perché ha fatto domande per i postini di Maria De Filippi). Trama: l’eroe in calzamaglia è depresso perché non ci sono più poveri in Italia, cosicché rubare ai ricchi non ha più senso. L’attore sfigato ma pieno di sé ha un taccuino vicino al letto, in una botta d’ispirazione scrive: “Qualcosa sarà poesia/ qualcosa non la sarà / la vita è tutta qua”. Meglio di Amanda Gorman, comunque.

 

Nell’umanità gusto puffo c’è un po’ di tutti noi. Chi non ha mai avuto, per un attimo almeno, la curiosità di sapere chi inventa i titoli del Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini? Per esempio “Nacque il tuo nome da ciò che fissavi”, nel 2019: se non fossimo andati a controllare l’avremmo scambiato per una brillante invenzione di Gene Gnocchi nel racconto: “Il mistero dei titoli del meeting” – tutto minuscolo per non offendere né il meeting né il mistero. Il protagonista del racconto avanza qualche ipotesi: un filosofo del pensiero debole ormai pentito, un poeta che per poco non era riuscito a pubblicare nella Collana Bianca Einaudi, un devoto funzionario del catasto (nel cuore di tutti gli italiani, gusto puffo oppure no, scalpita un cuore ispirato). Lunghi o cortissimi, come “Tu sei un bene per me”, adatto alle magliette (l’incaricato, davanti a un titolo smisurato, se la cavò con “Dio c’è”, come le scritte sui cavalcavia).

 

Sotto ai cavalcavia viaggiava l’Alfa Duetto, con papà comunista che aveva chiamato i figli Carlo e Federico, come Marx e Engels, e tifava Unione Sovietica (quando c’era). Poi smette di fare il sindacalista e mette su una trattoria. Queste sono le storie tenere. Le ciniche immaginano di parcheggiare la nonna in ospedale per le ferie.

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L’uomo gusto puffo (sempre un po’ retrodatato) frequenta volentieri le sale biliardo. E si chiede: sono architetti o geometri a calcolare precisamente i tiri? Macché, tutta un’altra storia: “Sono autodidatti in cassa integrazione che giocano a biliardo tutto il giorno per imparare che basta mezzo grado di differenza per sbagliare tutto, come nella vita”.

 

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