Saverio ma giusto

Un nuovo lockdown per zittire i pessimisti. Stavolta con noi fuori

Saverio Raimondo

È chiaro che il virus si diffonde in casa. Dal 26 aprile la svolta: si vivrà en plein air. Si dorme in tenda o nel sacco a pelo. O in macchina, ma solo se decappottabile

Dalla prossima settimana – lentamente, gradualmente, progressivamente – si cercherà di tornare alla vita: ristoranti, bar, cinema e teatri; poi palestre, piscine, viaggi e vacanze. Immediatamente alcuni isterici virologi da salotto, come divi del muto ai primi vagiti del sonoro, scorgendo nell’orizzonte del loro futuro mediatico soltanto la prossima stagione de “L’Isola dei Famosi”, hanno lanciato l’allarme: i contagi riprenderanno, la curva risalirà, passeremo Ferragosto in terapia intensiva. I più pessimisti hanno anche aggiunto “gne gne gne” e fatto una linguaccia.

 

Non c’è dubbio che quella delle riaperture sia una decisione politica (finalmente!); ma negare che vi sia un certo criterio di scientificità in questo “rischio calcolato” è una tesi degna di Miguel Bosé. L’Italia riapre infatti solo all’aperto, dove si sa (da mesi) che il contagio è praticamente impossibile: per contrarre il Covid all’aria aperta c’è bisogno che ci siano almeno tre positivi che ti circondino, due per tenerti fermo mentre il terzo ti tossisce in bocca. Ma questo probabilmente non basterà a scongiurare un certo arrossamento delle regioni; e siccome tutto possiamo sopportare tranne che a giugno/luglio col caldo i sopra detti virologi vadano in tv, piccati e vanitosi, a dire “tiè, ve l’avevamo detto!”, sarà bene che il governo adotti un nuovo piano per le riaperture, scientificamente più rigoroso. Lo so, mancano pochi giorni; ma siamo ancora in tempo.

 

Propongo, da lunedì 26 aprile, di istituire un nuovo lockdown, stavolta con noi fuori. Mi spiego meglio: il 96 per cento dei contagi avviene al chiuso. Se c’è una cosa che abbiamo sbagliato nella gestione della pandemia è stata proprio la malsana idea di rintanarci in casa, attorno al nostro focolaio domestico; per poi frequentare solo i nostri congiunti, che sono i veri super-diffusori del virus. Risultato: varianti fuori controllo, i morti che sappiamo. Stavolta invece “non possiamo sbagliare”, e quindi dobbiamo chiudere i veri centri del contagio, quelle aree che sin dall’anno scorso avrebbero dovuto essere dichiarate zone rosse, e non solo in Val Seriana: le case. Prime o seconde, non c’è differenza: dati alla mano, il Covid si è trasmesso più fra camere e cucina che sulle piste da ballo delle discoteche.

 

Dunque, entro questa settimana, ognuno di noi dovrà fare la valigia – un trolley o uno zaino – e dal 26 mattina tutti fuori casa, all’aria aperta. Si fa colazione al bar (ai tavoli fuori), si mangia al ristorante (nei dehor), ci si lava nelle fontane o nei corsi d’acqua. Si fa pipì dietro agli alberi o alle siepi; si fa l’amore sotto le stelle. Si dorme in tenda o dentro a un sacco a pelo; o in macchina, ma solo se decappottabile. Barboni e senzatetto saranno i nostri life coach. Le scuole saranno chiuse, e le lezioni si terranno alla maniera dei peripatetici: dalla Dad alla Dap – Didattica a piedi. Si lavorerà nei parchi: l’uomo seduto su una panchina non sarà più sinonimo di pensionato ma di gran lavoratore. Gli autobus del trasporto pubblico saranno sostituiti con quelli turistici a due piani, ma si potrà viaggiare solo al piano superiore, quello scoperto. Si potrà tornare a casa solo uno alla volta, una volta alla settimana e solo in certe fasce orarie, per fare il cambio della biancheria – i panni sporchi comunque si lavano al fiume. Sì alla tintarella in spiaggia, no alle serie tv sul divano. E vedrete che fra qualche settimana si parlerà molto meno del virus, e molto più dei reumatismi. Inoltre, stando sempre e solo all’aperto potremmo anche prendere in considerazione l’idea di abolire le mascherine; semmai, suggerirei ombrello obbligatorio.

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