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diario di scuola

"Sono stufa, professo'…". La pandemia ha prosciugato anche i desideri

Marco Lodoli

Tutto è diventato una solitaria guerra di trincea, un misto di fatalismo, rassegnazione, malinconia. E così, a fare lezione sul giovane Werther e Jacopo Ortis, quelle passioni grandi e travolgenti, si scopre che tra i ragazzi si sono spenti anche gli amori

Breve conversazione in classe: “Che hai Sonia?”, “In che senso professore?”, e io: “Non so, ti vedo un po’ giù…”, e Sonia: “Mi sono stufata, professo’…”. Ecco, questo mi sembra il commento più semplice e chiaro, che fotografa in poche parole la situazione attuale. Ci siamo stufati, non se ne può più, ma bisogna ancora resistere, appellarsi a tutte le energie rimaste e aspettare buone notizie, sperando che arrivino. Rispetto alla prima fase della pandemia, lo stato d’animo complessivo è visibilmente mutato. Eravamo sui balconi, contrastavamo il virus con forza e speranza, c’era un sentimento collettivo di condivisione della disgrazia che univa e dava coraggio. Ora è diventata una solitaria guerra di trincea, un misto di fatalismo, rassegnazione, malinconia che come fango si attacca alle coscienza e si secca un po’ ogni giorno.

All’inizio c’era una veemente voglia di reagire all’attacco subdolo e feroce del Covid, ci si ritrovava con gli amici la sera sul computer, a raccontare quel poco che quel giorno si era fatto, a bere un bicchiere di vino rosso insieme, anche se distanti, persino a ridere e scherzare in faccia alle brutte notizie. Ricordo che in un mese, io e il mio amico film-maker Francesco Cabras avevamo aperto un sito in cui tanti artisti leggevano e cantavano i “Sonetti Pandemici Quantunque Lodoliani (SPQL)”, sonetti in romanesco che avevo scritto di getto in quei giorni. Più di cento persone avevano partecipato al progetto, che si può ancora vedere e ascoltare in rete. Il virus attaccava e noi contrattaccavamo, con quel briciolo di creatività che ancora ci restava. Ora l’ammosciamento è totale. Si potrebbe anche andare al cinema, a teatro, a qualche mostra o concerto, a cena fuori, ma sembra che nessuno ne abbia voglia. Come conchiglie, le case si richiudono su di noi. E negli adolescenti il calo vitale è ancora più evidente, due anni di bufera li hanno piegati come alberelli, gli hanno strappato foglie e fiori. 

Delle tre classi in cui insegno italiano e storia, due sono in Dad, la terza è spezzata tra presenti e esiliati, e non è facile fare lezione in questa situazione assurda, tra la classe e le finestrelle del computer. I giornali ci raccontano le tante risse gratuite tra ragazzi, sbotti di violenza insensata, come se la lunga privazione di libertà, questa bonaccia immobile, producesse improvvise bufere, sussulti brutali, uragani devastanti. Temo che non sarà facile ricominciare allegramente, quando il virus sarà sconfitto. 

L’altro giorno, negli ultimi cinque minuti dell’ora di letteratura, dopo aver spiegato “I dolori del giovane Werther” e le “Ultime lettere di Jacopo Ortis”, quegli amori grandi e travolgenti, la passione dei romantici, ho domandato quanti in classe hanno una relazione amorosa. Quasi nessuno. Prima sì, ora non più. I fidanzamenti si sono sciolti, nuove situazioni non sono nate, l’amore, che nell’adolescenza è una forza naturale e anche spirituale, una scoperta meravigliosa, sembra scomparso, disperso, dimenticato. “Come mai?” ho insistito. “Ci si vede poco, professo’, e manca pure la voglia…”.  Ecco, si sono prosciugati i desideri, ci si accontenta del minimo: venire a scuola quando si può, studiare un poco, aspettare, come nella fortezza sui bordi del deserto dei Tartari. 

Ricordo che fino a due anni fa gli studenti delle quinte già in inverno cominciavano a immaginare il viaggio che avrebbero fatto dopo gli esami, a luglio, ad agosto. Barcellona, Londra, le isole greche, la costiera romagnola, le Alpi, l’America… Poi magari quei viaggi saltavano, perché troppo cari, perché qualcosa andava storto e qualcuno rinunciava, per tanti motivi: ma intanto era bello sognarli, i ragazzi cercavano su internet campeggi, treni, nuovi paesaggi, la brama dell’ignoto li eccitava. Ora di questi viaggi reali o immaginari non si parla più. Mancano le condizioni e manca pure il desiderio. La casa si è mangiata ogni idea di viaggio. L’inerzia ha inghiottito ogni volo. 

“Sono stufa, professò…”, è così, siamo stufi e stanchi anche se siamo fermi, forse proprio perché siamo fermi da troppo tempo. E intanto bisogna interrogare, mettere i voti per gli scrutini imminenti: ma niente pare avere un vero senso, sembrano procedure astratte che non toccano la vita. “Nel giorno del giudizio saranno pesate solo le lacrime”, scriveva Cioran: sì, bisogna saper pesare la sofferenza dei nostri ragazzi, i giorni felici che gli sono stati crudelmente negati.

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