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Questo lo dice lei

L’Europa può sfidare i giganti del mondo scommettendo sulla salute

Pier Carlo Padoan

I guai di BoJo, l’incertezza americana, la sfiducia generata dalla Cina, il  discorso di Von der Leyen. Idea per costruire il futuro

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Visto dall’Europa il quadro delle relazioni globali si presenta assai complesso. Non è una novità ma ciò che rende il quadro più complesso del solito è la concomitanza di nodi che, al netto della crisi pandemica, verranno al pettine nei prossimi mesi, e che si presentano come intrecciati tra loro. Riguardano i rapporti dell’Europa con la Brexit, con la Cina, e con gli Stati Uniti. Sul fronte Brexit prende corpo l’ipotesi di una mancanza di accordo entro la fine dell’anno e quindi la prospettiva di una separazione senza definizione di un nuovo quadro di relazioni commerciali tra Ue e Regno Unito. Le ragioni sono in parte “tecniche”, legate – oltre che a dispute settoriali (come i diritti di pesca) – alla complessità della definizione del confine irlandese post Brexit che rischierebbe, tra l’altro, di isolare l’Irlanda dal resto dell’Ue. Ma ci sono anche ragioni politiche legate alla ambizione (o alla illusione) del governo di Boris Johnson di fare del Regno Unito una “potenza sovrana” che predilige accordi bilaterali piuttosto che scelte di integrazione. L’opzione sovrana del Regno Unito vuol dire essenzialmente un rapporto privilegiato con gli Stati Uniti. Ma naturalmente tutto ciò dovrà attendere le elezioni presidenziali e la preferenza del neo eletto presidente nei confronti del multilateralismo (Biden?) piuttosto che per il bilateralismo (Trump?).

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Visto dall’Europa il quadro delle relazioni globali si presenta assai complesso. Non è una novità ma ciò che rende il quadro più complesso del solito è la concomitanza di nodi che, al netto della crisi pandemica, verranno al pettine nei prossimi mesi, e che si presentano come intrecciati tra loro. Riguardano i rapporti dell’Europa con la Brexit, con la Cina, e con gli Stati Uniti. Sul fronte Brexit prende corpo l’ipotesi di una mancanza di accordo entro la fine dell’anno e quindi la prospettiva di una separazione senza definizione di un nuovo quadro di relazioni commerciali tra Ue e Regno Unito. Le ragioni sono in parte “tecniche”, legate – oltre che a dispute settoriali (come i diritti di pesca) – alla complessità della definizione del confine irlandese post Brexit che rischierebbe, tra l’altro, di isolare l’Irlanda dal resto dell’Ue. Ma ci sono anche ragioni politiche legate alla ambizione (o alla illusione) del governo di Boris Johnson di fare del Regno Unito una “potenza sovrana” che predilige accordi bilaterali piuttosto che scelte di integrazione. L’opzione sovrana del Regno Unito vuol dire essenzialmente un rapporto privilegiato con gli Stati Uniti. Ma naturalmente tutto ciò dovrà attendere le elezioni presidenziali e la preferenza del neo eletto presidente nei confronti del multilateralismo (Biden?) piuttosto che per il bilateralismo (Trump?).

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L’Europa ha già detto che si aspetta il rispetto degli accordi da parte di Londra e sembra rassegnata ad accettare una Brexit traumatica. Sarebbe forse inevitabile ma anche assai dannoso per ambedue. Brexit a parte i dossier europei che avranno conseguenze sui rapporti transatlantici sono già sul tavolo, dalla introduzione di una web tax, a quella di una tassa ambientale, strumenti finalizzati anche all’accrescimento delle risorse proprie dell’Unione, resosi necessario dopo il lancio del Next Generation Ee (NgEu) e delle sue priorità in tema di sviluppo sostenibile e di rivoluzione digitale. Sarebbe auspicabile, come ha dichiarato la presidente Von der Leyen, lavorare per un nuovo accordo transatlantico a tutto campo (vecchio pallino della cancelliera Merkel). In mancanza di un riavvicinamento tra Usa e UE rimane elevato il rischio di un conflitto economico che riguardi sia il tema della tassazione del digitale sia questioni di conflitto commerciale “vecchio stile”, rese più gravi dalla necessità di riformare i meccanismi di risoluzione dei conflitti in ambito Wto.

 

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Infine il rapporto con la Cina, che in primo luogo richiede per l’Europa di interrogarsi, dal suo punto di vista, sulla natura del grande paese asiatico. E’ un partner? Un avversario? Una potenza aggressiva e ostile? Certamente è un paese con il quale si intrecciano rapporti di ogni tipo, economici, commerciali, tecnologici, diplomatici, di sicurezza. Ma altrettanto certamente è anche un paese nei confronti del quale occorre, per l’Europa, una visione globale e nei confronti del quale i tentativi di privilegiare rapporti bilaterali da parte di singoli membri dell’Unione sono destinati al fallimento. Di fronte a un quadro cosi complesso, l’Europa deve accelerare il processo di integrazione e di definizione della sua dimensione globale. Il processo di integrazione post Covid implica un passaggio dalle politiche nazionali a politiche europee. E queste non possono non avere uno sguardo rivolto all’esterno. Come sappiamo da tempo un mercato unico ben funzionante comporta un’economia più competitiva a livello globale.

 

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Un modello di crescita verde va nella direzione di un mondo complessivamente più sostenibile. L’azione dell’Europa crea beni pubblici europei ma anche beni pubblici globali. E in questa direzione deve continuare a progredire. Tutto ciò viene accelerato dalla NgEu. Nella sua concezione e negli strumenti. NgEu è un progetto grandioso nato per reagire ai danni del Covid-19. Le sue risorse serviranno a finanziare progetti straordinari, che avranno (se ben disegnati e implementati) conseguenze permanenti sulla crescita e l’occupazione. Dal lato degli strumenti basti pensare alle implicazioni dell’emissione di titoli europei per finanziare le riforme strutturali. Al di là degli strumenti l’Europa deve mettere in campo una visione globale. E questo è emerso con chiarezza nel discorso della presidente Von der Leyen sullo Stato dell’Unione. Ma in quel discorso c’è qualcosa di più: la proposta della creazione di un’Unione per la Salute, bene pubblico europeo per eccellenza. Un bell’esempio di come l’Europa può rispondere al meglio alla più grave crisi degli ultimi decenni.

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