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la riflessione

L'antifascismo innescato dai fatti di Firenze è un'offesa al vero antifascismo

Giuliano Ferrara

La reazione alla scazzottata del liceo Michelangiolo e alle parole del ministro Valditara è contraria alla tradizione antifascista democratica e repubblicana, che non va confusa con la più clownesca demagogia

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L’idea corrente è che Meloni è abile ma non ha una classe dirigente e lei stessa non è all’altezza delle sue ambizioni. Vero che faticano a controllare Berlusconi, però questo si capisce. Berlusconi è molto di meno e molto di più di un uomo delle classi dirigenti, è un privato spesso vittima del suo genio narcisista e megalomane, un riformatore del sistema italiano che non aveva la pretesa di cambiare tutto, e faceva perno sull’ideologia delle libertà anche per salvare la sua di cittadino e imprenditore nel paese della caccia al cinghialone e dei suicidi sinistri di Gardini e Cagliari, ma prima dell’incarognimento putiniano ci ha dato l’alternanza di forze diverse alla guida del governo, una realizzazione che fa storia e cambia la costituzione materiale del paese, abituato a regimi e consociazioni per centocinquant’anni e più. Controllarlo è impossibile. Il faut faire avec.

 

Per il resto bisogna cercare di essere non dico fair, o corretti, ma equilibrati. Direi che la possibilità di avere qui uno Starmer, uno che reincontra il paese reale dopo la festa dei diritti e delle demagogie paraclassiste, uno che può suonarle al fronte dei conservatori per via del fatto che parla una lingua forte ma politicamente e socialmente mediana, finendola con le bambinate alla Corbyn, dipende anche dalla prevalenza nel centrosinistra di uno spirito di emulazione e competizione con la destra di governo, ed è incompatibile con il richiamo alla delegittimazione e la via breve di un antifascismo di maniera.

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La storia, sopra tutto quella delle guerre civili, lascia lunghi e complicati strascichi, non ci si può onestamente meravigliare della particolare sensibilità di parti della sinistra e del mondo cattolico democratico verso una vera destra al governo. Ma il vizietto della delegittimazione come pratica facile e come alibi per non fare i conti con sé stessi e per non costruire con la fatica necessaria emulazione e competizione democratica con l’avversario che prevale nelle urne, facendosi davvero classe dirigente generale, è durato quasi trent’anni di fronte al fenomeno Berlusconi, e in quel vizietto sono cascati tutti salvo l’eccezione di Renzi. Eppure Berlusconi, con tutte le sue mattane e le sue fobie e le sue bugie bianche, cioè sincere, non veniva da quella storia di destra, era un democristiano e un imprenditore di naturale inclinazione maggioritaria, un arcitaliano amico di socialisti e centristi, che voleva coalizzarsi con Martinazzoli e Segni, prima di essere condannato a difendersi come uomo nero e aspirante dittatore in un grottesco ventennio di farsesche contrapposizioni e barricate (e ha anche costituzionalizzato la Lega e contribuito alla svolta post-post-fascista di Fiuggi con l’abbandono della “casa del padre”). Dunque la delegittimazione è una cattiva politica e impotente, non una versione dell’antifascismo. 

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Per questa ragione è così importante che qualcuno decida di conquistarsi una leadership di centrosinistra andando apertamente contro il conformismo pseudocostituzionale e l’antifascismo parolaio e insincero di tanti. Il caso di Firenze insegna. Non era, come ha osservato su Twitter un particolarmente lucido Goffredo Buccini, una riedizione dello squadrismo o un nuovo caso Matteotti. Era una scazzottata per dei volantini tra giovani di destra, che hanno menato le mani, cosa disdicevole o se volete aberrante, e giovani di sinistra antifa, poi glorificati in cortei che evocavano le foibe titine come punizione per il nemico fascio e evocavano Piazzale Loreto per il ministro Valditara. La reazione del valoroso popolo antifascista è suonata come il tintinnio della moneta falsa, una musichetta che sottrae valore a ciò che la moneta intende rappresentare, e un’offesa morale al vero antifascismo democratico e repubblicano, che non va confuso con la più clownesca demagogia. La lettera della preside era una provocazione ideologica e storica ammantata di buone intenzioni antiviolenza, e la reazione di Valditara è stata legittima e misurata, onore al merito e al ministro dell’Istruzione e del Merito. Rivedetevi il clip della sua intervista a “Mattino Cinque” e il testo della lettera-circolare della preside e vedrete che Buccini e io non abbiamo torto a affermare quello che affermiamo. 

 

Non c’è nessuna caccia al negher, nessuna ostilità preconcetta all’Europa dell’Unione, nessuno scollacciamento istituzionale paragonabile alle gesta innocue alla fine ma minacciose all’inizio della fase populista-sovranista del 2018. C’è invece una adesione militante, piena, a una politica estera e di sicurezza fondata sulla solidarietà occidentale nella difesa dell’Ucraina dall’invasione distruttiva delle armate di Putin, e c’è consapevolezza dei vincoli dell’economia aperta. Questi sono conservatori. E’ un loro diritto esserlo. Argomentano la loro posizione con qualche povertà di linguaggio, talvolta, e con ironie o eufemisterie un po’ così di figure alla La Russa, ma non sono e non si comportano come bru bru scappati di casa o dalle foreste (e neanche i fascisti lo erano, con tutta la carica di violenza belluina di quell’epoca e che li caratterizzava: Gramsci, cara signora preside, fece l’autocritica perché nel biennio rosso la sinistra proletaria con i suoi estremismi fu “un elemento di dissoluzione della società italiana”). Combatterli un secolo dopo come dei Farinacci o dei Balbo o dei Mussolini è solo un modo per pestare l’acqua nel mortaio della propria incapacità a creare le condizioni di un’alternativa e della vittoria di un programma riformatore

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