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parallelismi e deduzioni

Che danni possono fare i sovranisti coerenti con i propri programmi di governo

Norberto Dilmore

Seguire l’approccio polacco in Europa con la Germania e la Francia significa pagare un prezzo alto. Perché il nazionalismo non può funzionare laddove si dovrebbe mettere in atto una strategia comunitaria, come sulla crisi energetica

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Circa un mese fa il Foglio ha gentilmente riprodotto ampi stralci di un mio articolo apparso sul Mulino online in cui analizzavo le possibili conseguenze sulle relazioni tra Italia e Unione europea nel caso di una vittoria della destra sovranista alle elezioni del 25 settembre. In esso speculavo sui rischi di un “approccio polacco”, in cui il nuovo governo avrebbe anteposto i suoi interessi di breve periodo nell’ambito delle deliberazioni europee, salvo nei casi in cui una soluzione europea apportasse un beneficio immediato ed evidente per l’Italia. Ora, ancor prima dell’insediamento del nuovo governo sovranista, alcuni sviluppi legati alla crisi energetica europeo stanno già mettendo alla prova l’approccio polacco, mostrandone a mio avviso tutti i suoi limiti e incoerenze. 

 

Alla fine di settembre un grande paese europeo, perseguendo il proprio interesse nazionale (nonché alcuni obiettivi elettorali di breve periodo), ha messo in disparte la ricerca di una soluzione europea al problema energetico e ha introdotto unilateralmente misure per sostenere le proprie imprese e famiglie. Ci si sarebbe aspettati dalla leader sovranista che ha appena vinto le elezioni in un altro grande paese dell’Unione parole di forte plauso per l’iniziativa del summenzionato governo, che, praticando quel che lei sostiene da anni, ha giustamente anteposto le priorità nazionali a quelle dell’Unione Europea (e della burocrazia di Bruxelles). Invece di questo, ci siamo ritrovati con un breve comunicato pieno di luoghi comuni pro-europeisti (“Neppure gli Stati membri che appaiono  meno vulnerabili sul piano finanziario possono offrire soluzioni efficaci a lungo termine in assenza di una strategia comune”), che avrebbe potuto essere redatto da un Draghi, Letta o Calenda qualunque.

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Sto parlando naturalmente della Germania, dell’Italia e delle misure prese dal governo tedesco per attenuare l’impatto degli alti costi dell’energia su famiglie e imprese. Naturalmente la critica alla Germania è legittima, poiché le sue politiche da un lato rischiano di produrre un effetto domino di risposte non coordinate, dettate da convenienze di breve periodo che costano caro e che possono produrre instabilità finanziaria, mentre dall’altro introducono significative distorsioni nel mercato interno (con la possibilità per le imprese localizzate sul territorio tedesco di beneficiare di sconti significativi sulla bolletta energetica). Tuttavia, ci si deve chiedere quanto credibile può essere l’indignazione di un governo che alla semplice domanda “E voi sovranisti cosa avreste fatto al nostro posto?” non potrebbe che rispondere: “Esattamente/Grosso modo come voi”. Si può allora facilmente immaginare la domanda di rimando: “E allora perché vi lamentate?”.

 

Naturalmente non sempre si riesce a convincere un paese – anche quando questo paese ha forti credenziali europeiste – ad adottare strategie cooperative che conducono a risultati migliori del ciascuno per se. Durante la crisi del debito sovrano la Germania e i paesi frugali (col tacito assenso della Francia) adottarono l’approccio del “ciascuno metta la propria casa in ordine” che costò molto caro all’Eurozona in generale e ai paesi mediterranei in particolare. All’inizio della pandemia, la Germania sembrò sul punto di adottare lo stesso approccio, ma fu poi convinta dalla maggioranza dei suoi partner che solo una diversa strategia avrebbe evitato il peggio. E da un tale dialogo e confronto, che durò diversi mesi, nacque Next generation Eu.

 

Venendo al caso odierno della crisi energetica, con quali argomenti può un governo sovranista convincere la Germania ad anteporre l’interesse europeo a quello nazionale? Direi che l’affermazione che bisogna difendere anzitutto il proprio interesse nazionale non è il buon punto di partenza. I governi pro-europeisti di Francia, Italia e Spagna nel 2020 riuscirono a convincere la Germania che, anche alla luce dei risultati della crisi del debito sovrano, andare da soli sarebbe stato molto più costoso e molto meno efficace. Inoltre avrebbe rischiato di minare la coesione all’interno dell’Unione europea, con gravi ripercussioni nel lungo periodo. Mutatis mutandis, possono fare lo stesso i governi di Italia e Polonia? I soli argomenti validi di cui dispongono sono in tutto o in parte di natura pro-europeista.

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Per un paese come l’Italia, con un debito pubblico molto elevato, una produttività stagnante, in declino demografico e con un’infinità di problemi strutturali, andare in Europa e suggerire che si dia priorità all’interesse nazionale su quello europeo è una strategia a dir poco masochista. Certo, è facile conclamare nelle piazze, in televisione o sui social media che finalmente (?) ci faremo rispettare in Europa, ma poi dai negoziati se ne esce poi con la coda tra le gambe, poiché è l’Italia che ha bisogno più di altri paesi di strategie comuni a livello europeo, come la vicenda del Piano di ripresa e resilienza prima e la questione dei costi dell’energia oggi hanno mostrato chiaramente. Essere il vaso di coccio che suggerisce ai vasi di ferro di decidere chi è più forte e resistente attraverso il cozzo diretto sembra a dir poco ridicolo, ma è purtroppo quello che i principali partiti del futuro governo sovranista hanno promesso di fare in campagna elettorale. 

 

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Il nazionalismo e il sovranismo all’interno dell’Unione europea sono relativamente facili da praticare, anche grazie alla regola dell’unanimità che esiste ancora in troppi campi. Tuttavia, questo è vero solo se gli altri paesi perseguono un approccio cooperativo. Quando però i free riders diventano troppi o troppo grandi, il sistema di cooperazione collettiva collassa e a quel punto ognuno va per conto suo e chi ha più filo tesse più tela. E nella situazione attuale di filo a disposizione l’Italia non ne ha molto (e se non ci fosse stato Mario Draghi ne avrebbe ancora di meno). La fin qui poco edificante storia della risposta europea alla crisi energetica ci offre dunque una lezione importante: nel perseguimento dell’interesse nazionale del nostro paese il sovranismo è una pessima strategia e prima ce ne liberiamo meglio è. Se invece il nuovo governo si intestardirà su di essa, prepariamoci a pagare un prezzo molto elevato.

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