Giorgia Meloni (LaPresse)

Il primo governo nucleare

L'energia sarà il vero test su cui si misurerà la distanza di Meloni dal populismo

Claudio Cerasa

Per la prima volta l’Italia ha una maggioranza favorevole al nucleare (che ora piace anche a Greta). Piombino e l’Europa

L’attacco di questo articolo rischia di essere spericolato, lo sappiamo, ma le notizie di ieri ci dicono che la simmetria esiste, per una volta, e l’accostamento, ci consentirete, merita, eccome se merita. E dunque, osiamo: che cosa unisce, oggi, Giorgia Meloni e Greta Thunberg? Risposta semplice: il nucleare. Ieri, l’attivista svedese, come potete leggere anche qui, si è inserita nel dibattito pubblico tedesco e ha detto, rompendo un tabù ambientalista, che spegnere le centrali nucleari oggi, per passare al carbone, rischia di fare male all’ambiente danneggiando anche l’economia e la sicurezza energetica.

Lo ha fatto, Greta, nelle stesse ore in cui ambientalisti meno illuminati, in Austria, hanno alzato un polverone politico, con il governo austriaco, nella cui maggioranza vi sono anche i Verdi, che ha promosso un ricorso contro la Commissione europea, a causa della scelta fatta a luglio dalla stessa Commissione di inserire il nucleare nell’elenco delle attività ecosostenibili e compatibili dunque con le politiche finalizzate a portare avanti processi di decarbonizzazione. E lo ha fatto, Greta, nelle stesse ore in cui il Fondo monetario internazionale, nelle sue stime apocalittiche sull’anno che verrà, ha notato quanto la recessione, nei prossimi mesi, peserà in modo ridotto nel paese europeo meglio attrezzato dal punto di vista nucleare, ovvero la Francia, che pur avendo centrali ai limiti di saturazione, e diverse anche in manutenzione, è riuscita a contenere la crisi energetica anche grazie alla sua minore dipendenza dal gas russo, anche grazie alla sua capacità di produrre energia attraverso le sue centrali, oltre che alla sua capacità di vendere energia sottocosto grazie a Edf, ragione per cui il governo francese ha scelto di nazionalizzarla al cento per cento.

 

Che cosa c’entra il nucleare con la leader del prossimo governo italiano dovrebbe essere fin troppo evidente e la questione, già accennata da Carlo Stagnaro lunedì scorso sul Foglio, è questa ed è suggestiva: il prossimo governo di centrodestra, a guida Meloni, sarà il primo governo della storia della nostra Repubblica a essere al cento per cento pro nucleare. Pagina 27 del programma elettorale di Fratelli d’Italia: “Occorre investire nella ricerca sul nucleare di ultima generazione”. Pagina 44 del programma elettorale della Lega: “Occorre pianificare lo sviluppo, nel medio-lungo termine, del nucleare di ultima generazione, pulito e sicuro, riconosciuto nella tassonomia europea”. Pagina 12 del programma elettorale di Forza Italia: “Ricorso alla produzione energetica attraverso la creazione di impianti di ultima generazione, valutando anche il ricorso al nucleare pulito e sicuro”. 


L’energia, sotto molti punti di vista, sarà uno dei terreni sui quali si potrà misurare la capacità del prossimo governo non solo di saper mettere da parte la demagogia del passato (Salvini era contro il Tap in Puglia, Meloni era contro le trivelle nell’Adriatico, entrambi i partiti sono pieni zeppi di dirigenti locali contrari ai termovalorizzatori) ma anche di saper essere coerenti con la propria eventuale svolta anti populista (vasto programma). E la questione non riguarda solo il nucleare, tema sul quale Meloni e compagnia, grazie a un mandato popolare molto forte, potrebbero promuovere gruppi di studio per capire come continuare un percorso già avviato dal governo Draghi con la scelta di sostenere le decisioni prese dalla Commissione europea sulla tassonomia, ma riguarda altri due terreni delicati che vale la pena mettere insieme.

 

Da un lato, c’è la sfida europea. Dall’altro lato, c’è la sfida locale. La sfida europea, per Meloni, è ovvia e chiara: rinunciare a trasformare l’Europa nella fonte dei problemi del nostro paese e scommettere, come ha fatto Draghi, sull’Europa come fonte di risoluzione dei problemi del nostro paese, a partire dal caro energia, a partire dall’emissione di debito pubblico per far fronte alla possibile disoccupazione generata dalle conseguenze della crisi energetica, facendo cioè l’esatto opposto di quanto fatto in questi anni dai sovranisti, ovverosia considerare l’Europa come parte delle soluzioni e non come parte dei problemi. Dall’altro lato, invece, c’è la sfida locale, la sfida italiana, la sfida di riuscire a portare a termine una missione complicata per la “Meloni Associati”: convincere una classe dirigente alimentata a pane, cipolla e populismo a cambiare rotta e a convertirsi almeno sull’energia al pragmatismo draghiano.

 

E il caso di Piombino, in questo senso, è il segnale più importante che Meloni deve dare: portare un sindaco del suo stesso partito sulla stessa strada scelta da Meloni, e prima ancora da Draghi, e rassegnarsi all’idea che il rigassificatore di Piombino è un’esigenza inderogabile per chiunque voglia accelerare il percorso dell’Italia verso una minore dipendenza energetica dalla Russia. Nucleare, termovalorizzatori, rigassificatori, europeismo. La linea sottile fra populismo e riformismo, del governo futuro, in fondo si misurerà anche così. Claudio Cerasa

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.