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Il Pd e i segretari oltre Letta: in quindici anni dieci leader. Viaggio tra i congressi

Ruggiero Montenegro e Luca Roberto

Con il passo indietro dell'attuale segretario, il Partito democratico si mette alla ricerca dell'undicesima guida politica dalla sua fondazione. Cronistoria delle segreterie passate

I segretari del Pd sono come le scatolette di cioccolatini di Forrest Gump: non sai mai quello che ti capiterà. Da statuto dovrebbe durare quattro anni, ma negli ultimi 15 anni, cioè da quando esiste il Partito democratico, soltanto in una occasione è capitato che il mandato volgesse al termine a scadenza naturale. Così immergersi in un viaggio alla scoperta di chi ha ricoperto questo incarico equivale almeno un po' a ripercorrere la storia politica del paese. Anche perché in gran parte dei casi chi è stato sconfitto se n'è andato sbattendo la porta, iniziando nuovi percorsi o comunque stracciando la tessera del partito. Abbiamo qui raccolto una cronistoria minima di chi ha preceduto Enrico Letta, che ha già annunciato l'intenzione di volersi fare da parte,

 

Walter Veltroni (ottobre 2007 - gennaio 2009)

Walter Veltroni è stato il primo segretario del Partito democratico. L'ex sindaco di Roma, di formazione comunista, viene eletto il 15 ottobre 2007, attraverso le primarie a cui partecipano oltre tre milioni di elettori. Veltroni vince con quasi il 76 per cento dei voti battendo la concorrenza di Rosy Bindi, Enrico Letta, Mario Adinolfi e Pier Giorgio Gawronski. Guiderà i dem fino al 17 febbraio 2009 quando, in seguito alla sconfitta elettorale del Pd nelle regionali della Sardegna, rassegnerà le dimissioni. L'anno prima, pur ottenendo oltre 12 milioni di voti, i dem avevano registrato la sconfitta alle politche, vinte dalla coalizione di centrodestra di Berlusconi, che Veltroni chiamava "il principale esponente dello schieramento avverso".

Dario Franceschini (febbraio 2009 - novembre 2009)

Il 21 febbraio 2009 Dario Franceschini viene eletto segretario dall'Assemblea nazionale del Pd, nonostante una parte del partito avesse chiesto nuove primarie. Di tradizione democristiana, ottiene 1.047 voti contro i 92 del suo sfidante, Arturo Parisi. Durante il suo mandato, il Pd raccoglierà un 26,1 per cento alle elezioni europee. Franceschini sarà anche protagonista delle trattative con Martin Schulz, esponente di spicco dei socialdemocratici tedeschi ed ex presidente del Parlamento europeo, per la nascita del gruppo dei socialisti e democratici europei. "È l'uomo giusto", ebbe a dire di lui il predecessore Veltroni. Ma l' esperienza da segretario di Franceschini si concluderà poco dopo, il 20 novembre 2009, quando lascerà il posto a Pier Luigi Bersani.

 

Pier Luigi Bersani (novembre 2009 - aprile 2013)

Le primarie del 25 ottobre 2009 incoronano Pier Luigi Bersani. Anche lui, come il primo segretario dem arriva dalla scuola comunista. Ex presidente dell'Emilia-Romagna ed ex ministro dello Sviluppo economico, dei Trasporti e dell'Industria nei governi Prodi e D'Alema, conquista la leadership dem ottenendo più del 53 per cento dei consensi. Dopo di lui, il segretario uscente Franceschini con poco più del 34 per cento dei voti e Ignazio Marino (12,5 per cento). Il 7 novembre Bersani sarà proclamato segretario del Pd e lo sarà fino al 2013. 

Nel 2012, Bersani annuncia l'intenzione di candidarsi anche alle primarie - con doppio turno- della coalizione di centrosinistra “Italia. Bene Comune”, che si presenterà alle elezioni politiche dell'anno successivo. Il segretario del Pd vince contro Matteo Renzi, Nichi Vendola, Laura Puppato e Bruno Tabacci, diventando così leader della coalizione che nel febbraio 2013 otterrà la famosa “non vittoria”, caratterizzata dalla maggioranza alla Camera ma non al Senato.

Due mesi dopo, in occasione dell'elezione del presidente della Repubblica, Bersani non riuscirà a far passare la sua linea e la candidatura da lui inidicata: prima Franco Marini e poi Romano Prodi vengono impallinati dagli stessi parlamentari dem, aprendo la strada al bis di Napolitano al Quirinale. Subito dopo Bersani rassegna le dimissioni da segretario.

Guglielmo Epifani (maggio 2013 - dicembre 2013) 

Guglielmo Epifani diventa segretario, reggente, l'11 maggio 2013. L'ex capo della Cgil viene indicato dall'Assemblea nazionale del Pd con quasi l'86 per cento dei consensi, per traghettare il partito verso il successivo congresso che culminerà con le primarie a dicembre dello stesso anno. Epifani sarà segretario fino al 15 dicembre, quando Renzi assume ufficialmente la carica.
 

Matteo Renzi (dicembre 2013 - febbraio 2017)

L'8 dicembre 2013 Matteo Renzi vince, sfiorando il 68 per cento dei voti, le primarie dem contro Gianni Cuperlo e Pippo Civati. Una vittoria che segna un cambio di passo e apre una nuova stagione nel Pd, quella della rottamazione (tentata e non sempre riuscita) e del riposizionamento che ha portato buona parte  della "ditta" - Bersani, D'Alema, Speranza e compagnia -  alla scissione, con la nascita di Liberi e uguali. 

Pochi mesi dopo la nomina a segretario, Renzi diventerà anche premier – al posto di Enrico Letta, dopo il famoso "Enrico stai sereno!" – e lancerà il referendum costituzionale del 2016: dopo la vittoria del No, l'ex sindaco di Firenze si dimetterà dalla carica dalla carica di premier a fine 2016 e successivamente anche da quella di segretario nel febbrario dell'anno dopo. A maggio 2017, Renzi si ricandida alla guida del Pd.

 

Matteo Orfini (febbraio – maggio 2017)

E' l'uomo dell'intermezzo o interludio che dir si voglia. Tra il primo e il secondo mandato di Matteo Renzi, l'espediente “traghettatore” viene consegnato nelle sue mani. Esponente della corrente dei Giovani turchi (dopo di che diventerà la corrente "orfiniana"), romano, Orfini rimarrà alla reggenza del partito per soli tre mesi. Giusto il tempo di allestire il congresso, le primarie e incoronare il segretario uscente. Non a caso, Orfini è considerata figura da apparato. Uomo di partito chiamato alla bisogna e che rimane in carica per lo stretto “svolgimento degli affari correnti”. Per la sua veste di gestore del nuovo congresso verrà ricompensato con l'incarico di presidente del Pd.

 

Renzi bis (maggio 2017 – marzo 2018)

Il 30 aprile Matteo Renzi torna a essere segretario del Partito democratico. Non è più a Palazzo Chigi, non è ancora in Parlamento, è mosso dallo spirito di rivalsa dopo che, una volta lasciato il governo, il partito gli ha imposto le dimissioni anche dall'incarico che ricopriva all'interno del Pd. Vince con quasi il 70 per cento dei consensi contro Andrea Orlando e Michele Emiliano, aumentando la percentuale rispetto a quattro anni prima. Inizia a girare l'Italia in treno, in vista delle elezioni politiche del marzo 2018. Lo slogan è “Scegli il Pd” (incredibilmente simile allo “Scegli” di Enrico Letta). Come andrà a finire? Male. I dem prendono il 18,7, il risultato più basso della loro storia. Renzi si dimetterà subito dopo il voto. Ma prima di cadere ostacolerà con la famosa ospitata da Fabio Fazio la nascita, già nel 2018, di un governo Pd-M5s. Si metterà a fare il "senatore semplice di Scandicci".

Maurizio Martina (marzo-novembre 2018)

Quando Renzi si dimette per la seconda volta in poco più di un anno, a raccogliere la reggenza del Pd è il suo vice, nonché ministro per le politiche agricole nei governi Renzi e Gentiloni, Maurizio Martina. Una lunga militanza nella sinistra giovanile, con la corrente “Sinistra e cambiamento” era stato tra i principali sostenitori della mozione del segretario uscente. La sua nomina, quindi, viene letta e iscritta in un percorso di continuità. Ma molto presto i rapporti tra i due diventeranno freddi. Non a caso, quando Renzi stopperà la nascita di un governo con i grillini, Martina minaccerà le dimissioni. Nominato ufficialmente dall'Assemblea segretario nel luglio di quell'anno, si dimetterà a novembre per correre alle primarie del marzo seguente.

Nicola Zingaretti (marzo 2019 – marzo 2021)

Nel marzo 2019 le primarie per la scelta del nuovo segretario incoronano Nicola Zingaretti (con il 66 per cento dei voti, davanti a Martina e Giachetti), eletto da un anno per il secondo mandato come presidente della Regione Lazio. Sono i mesi in cui il governo gialloverde si trascina stancamente, fino al Papeete estivo di Salvini. Fautore di una linea aperta al dialogo con i Cinque stelle, Zingaretti sarà il segretario che avallerà la nascita del Bisconte, così come la costruzione di un'alleanza che alcuni osservatori considereranno una proto-forma di campo largo. Il consigliere più ascoltato di questa fase è Goffredo Bettini, che diventerà l'anello di congiunzione tra Zingaretti e Conte. Una frase del segretario che verrà ricordata nei mesi a venire? “Conte è un punto di riferimento fortissimo dei progressisti”. Talmente tanto ossequiata che il Pd, quando decadrà l'esperienza del Conte bis, s'impiccherà allo slogan “O Conte o morte”. Si dimette all'improvviso una mattina di marzo. I deputati dem, intervistati in quelle ore, bofonchiavano al telefono qualcosa di simile al: “Ma che davero?”

Enrico Letta (marzo 2021 – in corso)

E' l'accademico riservista che viene richiamato quando le fondamenta di casa sono sul punto di accartocciarsi su se stesse. La sua prima immagine, quando l'assemblea gli dona i gradi di segretario, sono gli occhialetti da prof appannati in diretta streaming. Parla di “anima e cacciavite”, si dà l'obiettivo di ricostruire un'identità al Pd rispondendo all'imperativo: “Prima definiamo chi siamo, poi vediamo con chi allearci”. Una strategia che dovrebbe culminare, mentre si continua convintamente a sostenere il governo Draghi, nel cosiddetto campo largo. Che Pd e M5s sperimentano a intermittenza, con risultati altalenanti, alle amministrative, ma che in ogni caso rappresenta l'unico cartello elettorale valido per competere con il centrodestra. Anche perché dal primo intervento, Letta lo dice senza alcuna remora: “Alle elezioni politiche vogliamo vincere”.

Com'è andata a finire lo sappiamo: Conte che stacca la spina a Draghi. Il campo largo che si trasforma in un cumulo di macerie. Dem e Cinque stelle divorziano pure dove avevano stipulato un accordo, una piattaforma programmatica comune, primarie di coalizione, come in Sicilia. E alle politiche Letta raccoglie il secondo peggior risultato elettorale nella storia del partito. Aveva cominciato la campagna elettorale chiedendo ai suoi di mostrare gli “occhi di tigre”. Chiude la sua esperienza annunciando il passo indietro una volta allestito il nuovo congresso. Ma anche nella scelta di non affidare nel frattempo il Pd a un reggente c'è un atto di solidarietà: nei confronti di chi ne sarebbe uscito solamente stritolato.

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