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partito democratico

Dopo la sconfitta il Pd pensa al congresso: Letta verso le dimissioni

Carmelo Caruso

Nel partito ammettono la disfatta e parlano immediatamente di “bisogno di sintesi politica e di una nuova piattaforma”. Tradotto: un nuovo segretario. Bonaccini è quello che avrebbe tutte le carte in regola 

Il Pd ha perso le elezioni. Nel Pd parlano immediatamente di “bisogno di sintesi politica e di una nuova piattaforma”. Dal sinistrese all’italiano: congresso. Una donna dem che lavora nell’organizzazione mentre fuma sul terrazzo: “Ma vuoi mettere con Andrea Orlando? Non mi hanno mai salutato quelli li…. mentre Orlando ogni volta che viene: “Ma come stai, cara?”. Quelli lì sarebbero gli uomini di Letta. Alla fine, tutte le comunità, le famiglie, quando le cose vanno male individuano queste sciocchezze per sfasciarsi meglio. Ancora dal terrazzo: “Che poi è ovvio che si deve dimettere…”.

Stefano Bonaccini è il segretario cometa, quello che avrebbe tutte le carte in regola, che, e sentite come ragiona l’homo democraticus, “potrebbe poi fare rientrare anche Matteo Renzi… ma lo sai quanto è lenza? Lo sai che è partito per il Giappone e ha lasciato Calenda come un frontrunner in tangenziale?”. Chi non vuole bene a Bonaccini, e non sono pochi nel Pd, soffia la malignità: “Dimentichi che il suo portavoce, Marco Agnoletti, è anche il portavoce di Renzi…”. Al che, il diretto interessato, Agnoletti, una volta, ha risposto con educazione a questi corvacci: “Non sono il portavoce di Bonaccini. Ho una società che assiste diversi politici. Compresi Bonaccini, Nardella e poi nientemeno che il “compagno” Brando Benifei”. Bonaccini, e l’ha scritto per primo il Foglio, potrebbe essere sfidato da Elly Schlein, che a Piazza del Popolo, dice stanotte la cronista di sinistra, “ma l’hai vista? Una trascinatrice”.

Peppe Provenzano che è l’astro nascente del socialismo è pur sempre un satellite del pianeta Orlando e se, commenta un funzionario dem, “Orlando decidesse di candidarsi è ovvio che Peppe debba farsi da parte”. Letta è al secondo piano insieme a Marco Meloni e alla sua portavoce Monica Nardi che è capace di tenerezza anche quando le cose vanno male perché “sai quante ne ho viste…”. Raccontava un giorno che quando Letta si era dimesso da premier era rimasta senza lavoro, senza nulla: “Beh, ho ricominciato. Si ricomincia sempre. Accadrà ancora”. Per dire come sa essere crudele la sorte. Arriva al Nazareno, e sono le 2,08, una nota conduttrice televisiva, scanzonata, spigliata, che ha fatto il tour dei comitati e che nota “vabbé in FdI lo spirito era diverso, ma a dirla tutta, solo da Calenda ci hanno offerto qualcosa da mangiare”. Il Terzo polo sarà sotto ma le sue tartine sopra il 10 per cento.

Per commentare la sconfitta si è presentata Debora Serracchiani. Che cosa poteva dire? “Siamo la prima forza di opposizione”. Sono dunque già almeno quattro candidati per prendere il testimone del “povero Enrico” che è come il povero Piero di Achille Campanile Nell’ordine: Bonaccini, Schlein, Orlando, Provenzano. L’Italia è già meloniana. Il timore di un dem: “Hanno fame, hanno fame. Vedrai”. Ancora una volta il Pd sarà la grande forza d’opposizione che sempre lo stesso dem registra: “In quello siamo primi. Come la facciamo noi, nessuno. Siamo i più bravi”. I primi dei secondi. Hanno dimenticato come si vince ma ricordano a memoria come gestire la sconfitta: “Analisi, sintesi politica, rilancio programmatico….”.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio