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da Taranto a Piombino

Perché in campagna elettorale si parla di Ilva ma non di acciaio

Annarita Digiorgio

Servono parole aperturiste sull'acciaieria e sui 10 mila operai che ci lavorano dentro: le dichiarazioni più promettenti sono arrivate da Di Maio che chiede l'aumento della produzione

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Il governo Draghi negli ultimi due decreti Aiuti ha messo 2 miliardi per l’Ilva di Taranto, ma i partiti sia al governo che in campagna elettorale non vogliono parlarne. L’unico che cita espressamente l’Ilva nel programma è Carlo Calenda, prevedendone la riprivatizzazione. Il centrodestra ripete il solito mantra “coniugare lavoro e salute”, con l’eccezione di Antonio Tajani (FI) da sempre schierato a favore della produzione di acciaio. 

 

Ma il vero paradosso è nella coalizione di sinistra, dove si va da Angelo Bonelli (Verdi/Sinistra) a Debora Serracchiani (Pd) che promettono la chiusura dell’area a caldo, a Luigi Di Maio che chiede l’aumento di produzione. Enrico Letta da giorni racconta, facendosene vanto, che lui a Taranto è andato e ha parlato con gli operai. Ciò che però non dice è cosa gli hanno risposto. Davide Sperti, segretario Uilm a Taranto, il primo sindacato in Ilva, dice al Foglio che è stato un incontro elettorale inutile: “Gli abbiamo chiesto se la loro posizione è quella del sindaco di Taranto e del governatore Michele Emiliano che fanno ricorsi per chiuderla, ma non ci ha risposto. Mentre il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha concesso senza firma dei sindacati la cassa integrazione straordinaria sbilanciando i rapporti di forza con l’azienda. Letta non può venire a Taranto e non parlare di Ilva”.

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I sindacati hanno detto al segretario del Pd che “se volete chiudere l’area a caldo ci dovete dire cosa fate di 10 mila lavoratori. Se volete decarbonizzare ci dovete dire come, altrimenti se si pensa solo a un poltronificio non venite in campagna elettorale”. A nessuna di queste domande Letta ha risposto, ma alla fine ha ammesso: “È vero che ci sono state delle incoerenze, ma se votate gli altri vi danno una soluzione? L’altra volta avete votato il M5s che voleva la chiusura, cosa avete risolto?”. “Ora la chiusura la vuole il sindaco – hanno ribattuto i sindacati –  è dei 5 stelle?”. “È del Pd – ha risposto Letta – e in alleanza con il M5s ha preso il 60 per cento”. 

 

Il problema è che  il 43 per cento degli elettori tarantini non è andato a votare. Si ripete infatti anche a Taranto lo stesso schema di Piombino per il rigassificatore, con il governo e i partiti che a Roma programmano una strategia di interesse nazionale ma  non riescono a governare neppure i loro sindaci e candidati nei collegi, che per vincere alimentano e cavalcano i populismi da giardino. Il paradosso è che su Ilva le parole più aperturiste le ha pronunciate Di Maio: “L’obiettivo è aumentare la produzione e rimetterla sul mercato, anche se non si è ricucito lo strappo col territorio nonostante gli interventi di adeguamento degli impianti a tutela della salute e dell’ambiente siano stati completati e certificati”.

 

Il ministro degli Esteri era stato anticipato da un intervento alla Camera del suo deputato Gianpaolo Cassese: “L’Ispra ha stimato che lo scenario emissivo successivo alla realizzazione delle opere previste (quelle del piano ambientale Calenda impugnato da Emiliano e sindaco, ndr) è significativamente inferiore rispetto allo scenario ante operam, e tutti gli studi che vengono citati e che fanno breccia nell’opinione pubblica fanno riferimento a scenari precedenti e indicano come soluzione non la chiusura dello stabilimento ma l’esecuzione del piano ambientale oggi finalmente realizzato. Come mai non ne parla nessuno – chiedeva alla Camera il deputato dimaiano – e perché si parla ancora di Taranto come di una città fortemente inquinata, quando chiunque abbia visionato i dati pubblici può facilmente affermare il contrario? E perché tutti i politici di ogni livello, anche nella campagna elettorale in corso, continuano a parlare della chiusura delle fonti inquinanti o, ancora, dell’intera area a caldo, quando la situazione è mutata?”. 

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Probabilmente perché questo costringerebbe ad ammettere grazie a chi sono state realizzate quelle opere, vanificando anni di narrazione su cui è stata costruita una politica locale vittimista e allarmista, da Taranto a Piombino, passando per Melendugno e le trivelle del Gargano, gli stessi luoghi dove oggi i leader bussano per raccogliere pacchetti di voti. E in campagna elettorale non conviene. Meglio sprecare altri due miliardi in Ilva senza uno straccio di piano industriale e comprare il gas e l’acciaio dalla Russia.

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