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Appunti elettorali

Una piccola oligarchia ma responsabile. Il Pd merita il voto per quello che non è

Giuliano Ferrara

I programmi verbosi non li ho letti, e l’alleanza tutti dentro non è riuscita. Però non sono niente male le liste del Partito democratico. Che volete di più?

Forse il Pd è una caricatura di partito, forse la sua classe dirigente è una caricatura di classe dirigente. I programmi sono verbosi, retoricamente ambientalisti, wokisti, correttisti. Non li ho letti e non mi piacciono. Probabilmente è destinato a perdere, non è riuscito a mettere insieme la coalizione efficace, con tutti dentro, per riaprire da condizioni di forza la discussione sulle cose da fare dopo il voto (in genere si fa così, malgrado il manuale purista di Carlo Calenda, che vive in un altro mondo, ora senza Albertini e Pizzarotti, figuriamoci poi). Sfortuna, anche. L’unità nazionale con Draghi aveva diviso e messo in crisi il centrodestra, una parte al governo recalcitrante e trasfigurante (il solito Salvini Gianburrasca e fracassone in felpa putiniana) e una parte all’opposizione costituzionale ben condotta e bipartisan sulla politica estera e di difesa (bene Meloni); ma la rottura dell’unità nazionale ha diviso le componenti di governo che erano destinate a stare insieme, esponendo la gola al machete della legge elettorale ben maneggiato dai destri, che hanno guidato la rottura, che hanno un candidato premier, per di più donna e in apparenza novista, e una vasta orda di opportunisti già ben insediati nel carro, che ovviamente saranno i primi a scendere alla bisogna. 

 

Però le liste del Pd sono niente male. Esprimono almeno le correnti, unico riferimento alla storia dei partiti che il divino professor Cassese ieri sul Corriere ha dimenticato di citare nel suo prodigioso pezzo sull’agonia di quelli attuali. Per fare un partito ci va l’iscritto, la cellula o sezione, anche digitale (“ascensore anche sgommato” diceva Totò quando cercava casa), ci va la contendibilità, il congresso a ritmi regolari, bene anche le dimenticate ma rischiose primarie, ci vanno gli organismi dirigenti, le correnti, le strutture territoriali, le preferenze nella proporzionale o l’uninominale secca, senza scampo. Non ho nostalgia per le presidenze monumentali, le acque minerali, i carismi e i trucchi della politica di partito della mia epoca, per la democrazia di partito un po’ vera un po’ finta eccetera, i consigli nazionali e i comitati centrali, però la democrazia del periodo precedente l’irruzione della magistratura nella politica, e lo dice un berlusconiano della prima ora, fiancheggiatore della cosiddetta rivoluzione maggioritaria del Cav., aveva un senso costituzionale e non era solo mafia e corruzione, almeno up to a point. Era politica, non antipolitica.  

 

Enrico Letta è un po’ floscio, d’accordo, ma non è eternizzato da una vanità sfacciata, per fortuna i suoi libri sull’anima e il cacciavite non si vendono, oggi c’è ed è bene che ci sia, domani chissà, eppure ha messo insieme ragazzotti di belle speranze, fedelissimi di curriculum tutt’altro che ignobile, riformisti cattolici di sinistra e postcomunisti di tutte le età, massimalisti con diritto di tribuna, e reduci del governo Draghi e del governo Conte che sono stati il sale di una legislatura produttiva e non così banale come la si vuole dipingere.  Tanto è vero che la pandemia è stata affrontata per come si poteva e anche di più, il Parlamento è sfoltito di un pletorico terzo, la crescita non è maluccio se rapportata a Germania e Francia, l’inflazione non corre verso il 18 per cento come nel Regno Unito, il Superbonus ha rilanciato truffe ed edilizia, componenti di una certa importanza degli spiriti animali italiani, con l’Europa fu negoziato un quattrino comune che ora bisognerà confermare e spendere con criterio, pena uno sputtanamento storico, e l’Italia è la bestia nera di chi ha invaso una nazione indipendente e ne fa strame. 

 

Tassisti e balneari se la godono, non è poi una tragedia. Le bollette ci minacciano, ma si troverà un modo per intervenire, e intanto l’Eni, salvata dalle mani rapaci della magistratura militante e dei media di contropotere cosiddetto, e mi viene da ridere, scava a Cipro e trova parecchio gas. Speriamo che Draghi risolva l’affare corrente di Ita o Alitalia con la firma su un contratto di alienazione del bene più costoso per tutti noi della storia nazionale pubblica, con o appena dopo la Rai. Intanto una buona opposizione forse si prepara: ha i suoi bravi costituzionalisti, i suoi professionisti del Parlamento, i suoi sindaci (manca all’appello un capo di gabinetto, ma pazienza), i suoi presidenti di regione e assessori, che nel Lazio mi hanno inoculato tre volte che manco a Zurigo (per la quarta aspetto e spero nuovi ritrovati d’autunno), le sue donne compresa la petulante ma non antipatica “Alice” Serracchiani, e spero i suoi boss e capicorrente. Che volete di più dalla vita da una piccola oligarchia che ha condiviso la responsabilità del Rosatellum con la Lega e i grillozzi e ora ne paga tutto il pegno? Un giorno troveranno il modo di dirci chi sono, intanto meritano il voto di alcuni, pochi, di noi, per ciò che non sono. E per liste niente male, il Fratoianni inoffensivo compreso. 
 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.