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Il caso Ruberti ci mostra la solita brutta faccia del Pd a Roma

Salvatore Merlo

Nel centrosinistra romano parlano e ragionano come una ghenga irredimibile. “A livello nazionale ho visto piccole e mediocri filiere di potere. A Roma, facendo le primarie, ho visto delle vere e proprie associazioni a delinquere”, diceva dieci anni fa Marianna Madia

E’ sempre la vittima quella che urla. E a Frosinone, per strada, di notte, a urlare era lui, Albino Ruberti, detto Rocky, caratteraccio e lingua a serramanico, un personaggione del Pd romano, sempre sospeso tra Suburra e marchese del Grillo: “Vuoi che te lo dico che mi ha detto tu’ fratello a tavola? Deve veni’ qui a chiedere in ginocchio scusa, perché sennò io stasera scrivo quello che mi avete chiesto. Subito lo scrivo! Vi do cinque minuti. Vi ammazzo. Vi sparo”. Che il capo di gabinetto del sindaco di Roma Roberto Gualtieri, già braccio destro di Nicola Zingaretti in regione, stesse minacciosamente litigando per strada a causa del  “rigore mancato della Roma” con Francesco De Angelis, campiere delle preferenze del Pd in Ciociaria e presidente del Consorzio industriale del Lazio (roba da milioni di euro), che insomma Albino “er pugile” ce l’avesse per questioni calcistiche con De Angelis e con il di lui fratello Vladimiro (che lavora per Unipol e dunque assicura gli enti pubblici) è semplicemente ridicolo.    

 

Un insulto alla media intelligenza del cittadino comune. Cosa volevano, o meglio cosa pretendevano i due fratelli dal capo di gabinetto del sindaco di Roma? E perché uno dei due, posto di fronte a un diniego, gli avrebbe risposto: “Io me te compro”? Chissà. La vicenda, racchiusa in un video pubblicato giovedì sera dal sito del Foglio, sospesa com’è tra il grottesco e l’inquietante, la racconta oggi Simone Canettieri in questo pezzo, lasciando uno strascico di domande cui i diretti interessati, tra balbuzie e contraddizioni, non rispondono.

 

Così, oltre alla sensazione diffusa che ieri si sia dimesso l’esponente sbagliato del Pd, cioè Ruberti, rimane per adesso soltanto l’aspetto folkloristico, per così dire, subculturale o subpolitico, di certo superficiale ma non per questo meno importante, d’una faccenda che non solo promette sapide sorprese ma ancora una volta attraverso il linguaggio racconta il carattere e l’antropologia dominante del Pd a Roma e nel Lazio. L’eternità di foresta d’un modo di esprimersi, di pensare, d’intendere i rapporti politici e di potere che nella capitale, malgrado la nomina di un segretario cittadino per bene (ma non pervenuto) come Andrea Casu, già dieci anni fa Marianna Madia raccontava in questi termini: “A livello nazionale nel Pd ho visto piccole e mediocri filiere di potere. A livello locale, e parlo di Roma, facendo le primarie ho visto delle vere e proprie associazioni a delinquere”

 

Non era mafia capitale, ma il mondo di mezzo sì, un po’ Carminati e un po’ Adriano Celentano in “Er più”. Ed è a quella lingua fatta di “vi ammazzo”, “vi sparo” e “mettetevi in ginocchio” che adesso ritorna Ruberti per difendersi da una misteriosa richiesta che lui considera inaccettabile avanzatagli, parrebbe, da un altro esponente del Pd che è anche il padrino politico della sua compagna, la consigliera regionale Sara Battisti. E’ così che si parla a Roma. E’ così che ci si difende. E’ cosi che si ragiona.

 

E non è certo un caso che ai tempi del lockdown, da capo di gabinetto del presidente della regione Lazio, Ruberti violasse le regole che avrebbe dovuto far rispettare festeggiando in terrazza con amici e vinello, opponendo alla polizia venuta per multarlo il  classico “lei non sa chi sono io”. Dunque osservando il Pd ci si riscopre quasi come il Neruda “stanco di vedere il mondo che non cambia”. Enrico Letta ha commissariato il partito in moltissimi comuni, tranne che a Roma. L’eternità romanesca è persino più forte di un segretario nazionale. Così, di stanchezza in stanchezza, arriva la tendenza a cedere all’abitudine, e infine l’abitudine impedisce a ogni cosa di cambiare.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.