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Qui Piazza Bra

Stallo alla veronese. La corsa a tre di Sboarina, Tosi e Tommasi

Francesco Gottardi

Il comizio congiunto Salvini-Meloni salva solo le apparenze: attorno al sindaco uscente la destra è spaccata. E potrebbe riuscire nell’impresa di perdere Verona, inseguita da una vecchia volpe del governo cittadino e dal civismo dell’ex calciatore

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Non è un caso se i trielli continuano a fare la storia del cinema. Innanzitutto assicurano imprevedibilità. Poi offrono ampia applicazione, per esempio alla politica. E personaggi caratteristici, che si incastrano fra loro. Per esempio a Verona. Federico Sboarina, il campione uscente. Flavio Tosi, il redivivo. E Damiano Tommasi, l’anima candida. Chi ha tutto da perdere, chi tutto da riprendersi, chi tutto da guadagnare. Per i tre candidati c’è in palio la fascia tricolore di Palazzo Barbieri. Per i partiti che li sostengono molto di più: domenica la città sull’Adige sarà il principale banco di prova nazionale. O di cedimento sovranista.

Il bivio dell'elettorato veronese: quale destra votare?

È lì che si gioca la partita. L’elettorato veronese ha sempre votato a destra. Ma stavolta si trova davanti a un bivio: Sboarina, il sindaco di Fratelli d’Italia, ufficialmente appoggiato anche dalla Lega, sotto cui aveva iniziato il proprio mandato; oppure Tosi, che sindaco è già stato due volte e rappresenta il campo progressista che va da Forza Italia ‒ non senza qualche imbarazzo di coalizione ‒ a Italia viva, ma dietro le quinte conterebbe pure sullo stesso Carroccio locale. Che non ha mai digerito la candidatura di Sboarina, un po’ traditore e un po’ estremista. Soprattutto inadeguato: lo stesso Tosi esultava già un anno fa, quando l’acerrimo rivale confermava la ricandidatura per le prossime elezioni. “Contro di lui vinco facile”. Ci aveva pensato anche Matteo Salvini. A lungo, con prudenza. Avvicinandosi al pragmatismo di Tosi prima di incassare il diktat dei meloniani: senza di voi a Verona, scordatevi il nostro sostegno a Padova e nel resto del Veneto. Amen. Alla fine il segretario ha dovuto cedere, dopo mesi nel pallone su tutto ma soprattutto nella regione verde per eccellenza. Dove la base del suo partito l’ha sfidato a ripetizione. E indebolito.

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Il profilo civico di Damiano Tommasi che ha allontanato le mire Pd e M5s

Così in Piazza dei Signori va in scena la pax veronese. Roba da sorrisi stiracchiati. Giorgia e Matteo, fianco a fianco sul palco nell’ultima uscita prima delle amministrative. “Per gli amici faccio anche 500 chilometri”, dice lui, che era in città per Sboarina anche la settimana scorsa. “Ma Salvini sotto sotto fa il tifo per me”, continua a ribadire Tosi al Foglio: “La Lega mica vuole una bandierina di FdI nel cuore del Veneto”. Profilo basso di circostanza, Carroccio in cul-de-sac. E se l’ex sindaco gongola, Damiano Tommasi non è da meno: il centrosinistra non è mai stato così vicino a prendersi l’Arena. Merito di un profilo civico, non solo estraneo a ogni lotta intestina ma anche alle etichette di partito. Letta e Conte ci hanno provato in tutti i modi, a dare un po’ di lustro a Pd e M5S, che da queste parti campano di vacche magre. Eppure Tommasi ha evitato accuratamente ogni incontro pubblico con i due leader. Basta la sua “Rete!”: quale altro nome per il progetto di un ex calciatore, impegnato nel sociale, orientato ai giovani e promotore di inclusività. “Ma privo di esperienza politica”, lo pungono i suoi avversari. “E anche per questo diventa un’incognita alle urne”.

Una corsa a tre alla pari, con un timore comune: l'astensionismo

Il grande giorno è tutto da scrivere. Tutto ancora può essere. Perché, convengono i tre candidati, “il vero problema è l’astensionismo”, che nel 2017 superò il 42 per cento. Una sola certezza: nessuno ha le carte per vincere al primo turno. E i sondaggi fin qui sono stati la fiera della contraddizione. Alcuni davano Sboarina in netto vantaggio. Altri addirittura ultimo. Con forbici di venti punti percentuali fra le varie rilevazioni. Il candidato di centrosinistra è il più sicuro di approdare al ballottaggio, dove però rischierebbe di venire penalizzato dalla convergenza di voti all’avversario di turno. Facile che quelli di Sboarina vadano in blocco a un ex leghista come Tosi. Più incerto lo scenario opposto: i moderati potrebbero sostenere il programma dell’ex centrocampista della Roma, anziché l’operazione targata FdI. Scenari di una corsa all’ultima scheda. Dove ognuno dei tre candidati ha la sua arma più o meno segreta: Sboarina la macchina elettorale, Tommasi l’elemento sorpresa e Tosi beh, il voto disgiunto. Simbolo Lega, nome Flavio. Pare che a Verona ci stiano riflettendo in tanti. E a quel punto, più che un triello sarebbe il sabotaggio perfetto. Di quelli che riescono bene a Salvini.

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