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La guerra e i partiti

Tajani: "Sulle armi ci sono sfumature diverse, ma il sostegno all'Ucraina non è in discussione"

Marianna Rizzini

Il centrodestra (e la maggioranza) alla prova del 21 giugno, quando il premier Mario Draghi riferirà in Parlamento in vista del Consiglio europeo. "Escludo ci possano essere rischi", ci dice il coordinatore di Forza Italia 

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Il 21 giugno si avvicina, e la data è attesa non tanto come inizio ufficiale dell’estate. Incombe infatti, la data, come febbre latente sui giorni non semplici in cui, oltre a prepararsi al voto amministrativo di domenica 12, ci si prepara al momento in cui il premier Mario Draghi si recherà in Parlamento e farà le sue comunicazioni in vista del Consiglio europeo. E la questione “armi all’Ucraina, si o no” (con eventuale minaccia del voto) aleggia, brandita seppure sottotraccia in alcuni settori della maggioranza (dall’opposizione invece Giorgia Meloni ha ribadito sul tema l’appoggio alla linea governativa).

 

E se nel centrosinistra è l’ex premier M5s Giuseppe Conte a mantenere una postura ambigua, nel centrodestra, dove lo stesso ministro leghista Giancarlo Giorgetti ha definito l’appuntamento del 21 “un passaggio rischioso”, si scrutano i movimenti di Matteo Salvini. Si cerca infatti di capire se esista margine di manovra per l’eventuale tentazione di trasformare le comunicazioni del premier in un segnale di via libero per possibili smottamenti, specie dopo il voto amministrativo e referendario.

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Da Forza Italia, intanto, il coordinatore e vicepresidente azzurro Antonio Tajani si dice ottimista: “Escludo ci possano essere rischi, e in ogni caso dobbiamo intanto osservare quello che accadrà da qui al 21 di giugno sul panorama internazionale. Si dovrà far valere il buonsenso”. E il buonsenso non dice forse di non mettere in difficoltà chi deve parlare per l’Italia? “Certo. L’importante, ora, per l’Europa tutta, è evitare l’escalation e l’invio di armi che possano colpire in territorio russo, in modo da lasciare uno spazio per il dialogo — la linea del presidente francese Emmanuel Macron. Anche se è chiaro, e non va dimenticato, chi è l’aggressore e chi l’aggredito”.

 

Ci vogliono parole capaci di abbattere il rischio escalation anche sul piano interno? “Draghi bene ha fatto, intanto, a  muoversi con equilibrio, parlando con entrambe le parti in causa e difendendo i nostri valori — e quindi l’Ucraina invasa — pur senza alimentare un inasprimento dei toni”. Eppure nella maggioranza non tutti sono allineati, a proposito di quello che finora è stato, e in prospettiva è, l’aiuto concreto all’Ucraina. “Ci possono essere diverse sfumature”, dice Tajani, “ma la difesa dell’unità del paese invaso non è in discussione. Poi c’è il tema delle sanzioni: ci sono molte cose da fare prima di prendere una decisione drastica sull’acquisto di gas russo, come dare priorità al tema dell’autosufficienza”.

 

Ora la via, nel centrodestra vicino a Draghi, dovrà essere quella di ribadire con forza non soltanto la vocazione europeista ma anche la fedeltà alla Nato, nonostante la campagna elettorale spinga alcuni dei protagonisti a veleggiare tra lessico netto e lessico sfumato (in modo da lasciar intendere all’elettore quel che vuole intendere). E il problema è trasversale: se ogni volta che Salvini da un palco, come nel fine settimana, dice “basta armi”, qualcuno tra gli alleati sobbalza, intravedendo qualche ambiguità di troppo, nel Pd c’è chi, come il senatore Andrea Marcucci, interpella sia il leader leghista sia quello del M5s: “Chi si appresta a contestare la linea del presidente Draghi il 21 giugno contesta la linea dell’Ue. L’Italia, dall’inizio della guerra, porta avanti le decisioni dell’Europa. Siamo parte di un’alleanza, che piaccia o meno a Salvini e a Conte. La pace, equa e condivisa, è un obiettivo che dobbiamo raggiungere con i nostri partner”. Intanto Salvini ieri ribadiva: “No ad altri soldi per alimentare la guerra, si lavori per la pace. Le sanzioni, più che far male ai sanzionati, stanno facendo male agli italiani”.

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