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la richiesta della fiducia

Ddl Concorrenza, altro che bliz: Draghi tenta di chiudere una trattativa impossibile

Valerio Valentini

Dopo il primo rinvio, il provvedimento doveva essere licenziato entro Pasqua. Invece è ancora fermo in commissione e non si è votato neppure un articolo, tra veti, proposte surreali e l'ostracismo di Lega e Forza Italia. Ecco perché il premier ha chiesto al governo di sbrigarsi 

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Altro che blitz. A sentire la propaganda di Matteo Salvini, quella di Mario Draghi sui balneari sarebbe una prova di forza, ma la verità è semmai che si tratta della trattativa più lunga e surreale dell'intera storia del governo. 

Tutto iniziò, nientemeno, nel luglio del 2021. Il ddl Concorrenza era pressoché pronto: la riforma era una di quelle che ci chiedeva l'Europa, come si dice, nel senso che era prevista dal Pnrr. E però quelle erano le settimane di passione sulla riforma del processo penale: i grillini avevano dovuto sopportare l'abrogazione della cosiddetta "Spazzacorrotti", Giuseppe Conte minacciava sfracelli, la tenuta della maggioranza sembrava già al limite. E si decise di soprassedere.

La legge delega sulla Concorrenza venne messa in ghiaccio. Sarebbe ricomparsa solo a novembre, quando il Cdm la licenziò. Priva, tuttavia, del più contestato dei punti: quello sui balneari.

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In realtà, nella versione iniziale, quella di luglio, la riforma del settore era già presente. Il testo, concordato da Palazzo Chigi insieme al ministro dello Sviluppo, il leghista Giancarlo Giorgetti, prevedeva la messa a gara delle concessioni ma temperata con tutele per i gestori uscenti e con indennizzi sostanziosi a loro beneficio. Si introduceva, inoltre, un limite sul numero massimo di concessioni che ciascun titolare avrebbe potuto ottenere, così da evitare grandi concentrazioni e non avvantaggiare troppo i grandi imprenditori. 

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Del resto, a suggerire la sollecitudine al governo c'era la normativa europea. Dal 2006, infatti, la Commissione ha emanato una direttiva, la Bolkestein, che, in estrema sintesi, impone di aprire al mercato e alla concorrenza alcuni settori industriali e commerciali: tra cui, appunto, quello delle spiagge. L'Italia, che non ha mai applicato la direttiva pur avendola recepita in Parlamento (col governo Berlusconi, di centrodestra), è in procedura d'infrazione da più di dieci anni, sul tema. L'ultima volta che si è intervenuti in materia, è stato col governo Conte I, quando Lega e M5s - il principale fautore fu il salviniano Gian Marco Centinaio, allora ministro del Turismo - vararono una maxi proroga che allungava fino al 2033 la validità delle concessioni, in spregio al diritto europeo.

Nel frattempo a Palazzo Chigi era sorta una disputa. Da un lato Francesco Giavazzi, consigliere economico di Draghi, spingeva perché la legge annuale sulla Concorrenza fosse l'occasione per vivacizzare interi settori industriali anchilosati da consociativismi e oligopoli; dall'altro Roberto Garofoli, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, predicava un approccio più morbido, per cui nel ddl Concorrenza andava inserito solo ciò che era strettamente previsto nel Pnrr. Ed essendo i balneari materia non prevista nel pacchetto del Recovery, tanto valeva accantonarla per mandare avanti la riforma nel suo complesso.

A cambiare l'inerzia della trattativa, però, è intervenuto il Consiglio di stato. Con una deliberazione in verità alquanto prevedibile, il massimo organo della giustizia amministrativa, nell'ottobre 2021 stabilì che la proroga fino al 2033 fosse insostenibile, e la decurtò di dieci anni. Entro il 31 dicembre 2033, cioè, si dovranno fare le gare per riassegnare le concessioni balneari. Questa, in sostanza, la decisione del Consiglio di stato.

A questo punto la necessità di regolare il settore è tornata stringente. E così, intervenendo in fieri su un ddl già scritto, nel febbraio scorso il governo inserì un emendamento che di fatto recepiva la sollecitazione dei giudici amministrativi e prevedeva i bandi di gara entro il 2033, confermando in ogni caso tutele e indennizi per i gestori uscenti. Anche perché, a quel punto diventava impossibile costruire una legge sulla concorrenza che, proprio su un tema legato alla concorrenza, si ponesse in contrasto con la giustizia italiana e con le normative europee. 

Il provvedimento era stato intanto incardinato al Senato, presso la commissione Industria. La tabella di marcia suggerita da Palazzo Chigi era chiara. "Entro Pasqua, il ddl dovrebbe essere approvato in Aula". Una fretta non casuale. Nel Pnrr si stabilisce infatti che entro il 2022 la legge sulla Concorrenza sia attuata in ogni suo aspetto. Trattandosi di una delega legislativa, significa che vanno varati tutti i decreti delegati. Ci vogliono mesi. Per questo si chiede celerità al Parlamento.

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Il Parlamento invece se la prende comoda. Piovono più di mille emendamenti sui 32 articoli di cui si compone il ddl. Poi vengono ridotti a circa 300. Si susseguono riunioni a Palazzo Chigi in cui si affrontano i vari temi più controversi, punto per punto. Passano mesi. La scadenza prevista viene clamorosamente mancata: Pasqua è passata da 33 giorni, ormai, e il ddl non solo non è stato approvato in Aula, ma giace ancora in commissione Industria, dove non si è ancora votato un singolo articolo. 

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E così si arriva all'articolo più delicato: quello sui balneari. La trattativa inizia subito con uno stallo, da cui Palazzo Chigi prova a uscire offrendo subito un compomesso: una possibile proroga di due anni, che dunque consentirebbe di effettuare le gare fino al 2025. I partiti - con Lega e Forza Italia in testa, ma col Pd non proprio contrario - rilanciano con una proroga di cinque anni, ma che scatterebbe solo al termine di un periodo transitorio indefinito durante il quale bisognerebbe effettuare una mappatura sull'intero territorio nazionale per fotografare l'attuale situazione delle concessioni. Insomma, un rinvio all'anno del mai. C'è perfino, nel testo proposto dai relatori del provvedimento - il leghista Paolo Ripamonti e il dem Stefano Collina - la richiesta di introdurre la disciplina del golden power sulle spiagge: se a vincere i bandi fossero operatori stranieri, il governo dovrebbe stoppare la procedura considerandola lesiva degli interessi strategici del paese. Una follia. 

E' a questo punto che monta l'insofferenza di Draghi. Che era partito per Washington con la rassicurazione che una soluzione fosse imminente, e che da Washington è tornato constatando come si fosse ancora impantanati in una trattativa impossibile. Di qui la richiesta della mozione di fiducia, arrivata. Non esattamente, va detto, un blitz. 

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