Il ddl Concorrenza finisce nella palude del Senato. E a Palazzo Chigi suona l'allarme per il Pnrr

Valerio Valentini

A Palazzo Madama, sulla concorrenza pendono 150 audizioni e il rischio di ostruzionismo trasversale. L'incognita sui balneari, il fiato della Meloni sul collo di Salvini. I partiti rivendicano la centralità delle Camere. Ma Pd e Lega valutano una "cabina di regia parlamentare per i provvedimenti del Recovery". E a Draghi l'idea non dispiacerebbe

La preoccupazione, a Palazzo Chigi, è arrivata col dispaccio spedito da Palazzo Madama. Perché va bene la centralità del Parlamento da rispettare, ma centocinquanta audizioni per il disegno di legge sulla Concorrenza sembrano davvero qualcosa a metà tra lo scherzo e la provocazione. Tanto più che sul provvedimento incombono le scadenze del Pnrr, a ricordare a tutti l’urgenza della risolutezza. Il disegno di legge sulla Concorrenza, su cui già Mario Draghi ha indugiato ben più del previsto, deve essere approvato dalla Commissione europea entro dicembre. Ma Bruxelles, entro fine anno, pretende di vedere approvati dal governo tutti i decreti attuativi connessi. Il che significa che le Camere devono licenziare il provvedimento non più tardi di maggio o giugno, per evitare affanni ai molti ministeri coinvolti. 

E però, quando oggi Gianni Girotto, presidente grillino della commissione Industria del Senato, aprirà i lavori sul ddl Concorrenza, lo farà distribuendo ai suoi colleghi un elenco di sigle che include oltre un centinaio di audizioni  e cinquanta contributi scritti.  E così si inizierà con comuni (Anci) e province (Upi), poi la conferenza delle regioni, quindi Cna e Confartigianato, e Confcommercio e Confesercenti e Confindustria; si passerà poi a Federdistribuzione e Alleanza delle cooperative, la Federazione industrie prodotti impianti servizi ed opere specialistiche per le costruzioni e perfino il Gruppo Apollo, non sia mai, e ovviamente tutte le organizzazioni sindacali. Sarà la volta dell’Agenzia del demanio e di Assarmatori,  Snam ed Enel, A2A e l’Associazione italiana di grossisti di energia e trader. E poi giù, lungo un’ineffabile metafisica di sigle e di acronimi in cui si rischia di perdere il senno, ritrovandosi ad esempio a chiedersi se sia normale che ci siano quattro diverse sigle di portuali da ricevere e tre distinte associazioni di categoria per i balneari e in aggiunta pure il Coordinamento nazionale mare libero, e cosa abbia di così diverso da riferire Assoidrolettrica da quel che dirà Federidroelettrica. Per non dire di quel che accadrà quando si arriverà a discutere delle norme in materia farmaceutica o delle licenze dei tassisti.

“L’argomento è così ampio che è inevitabile che si proceda con lentezza”, spiega Stefano Collina, senatore del Pd e relatore del ddl. Ed avrà senz’altro le sue ragioni, certificate d’altronde anche dal monito che Sergio Mattarella ha fatto nel suo discorso di insediamento, quel richiamo al pieno coinvolgimento del Parlamento nel processo legislativo che è stato accolto da deputati e senatori con un’ovazione. “Anche perché – spiegano dalla Lega – si tratta di una legge di delega: il governo la scrive, il Parlamento la approva dando delle direttive, e poi  premier e  ministri la attuano”. Il che, tradotto, significa che i partiti vorranno blindare il più possibile il testo, affidare  a Draghi una delega che sia quanto più possibile circoscritta.   

E dunque, ecco la ridda delle audizioni. Se non fosse, però, che in materia di concorrenza, ognuna di quelle sigle, e dei parlamentari che più o meno trasversalmente fanno a gara per accattivarsele, ha il suo grumo di potere da difendere, il suo piccolo privilegio da preservare, e che insomma dietro il principio nobile della concertazione ci sia la malapianta dell’inconcludenza. E forse è anche per questo che al ministero per i Rapporti col Parlamento, Federico D’Incà s’è allertato, avviando una moral suasion sui partiti tesa a evitare lungaggini, e magari a tagliare alcune delle audizioni previste. Se ne parlerà già nella prossima conferenza dei capogruppo, al Senato, provando a definire un insieme di regole d’ingaggio ad hoc per la discussione dei provvedimenti legati al Recovery. Al Nazareno ipotizzano addirittura una “sessione parlamentare straordinaria per definire l’agenda sul Pnrr”, d’intesa evidentemente con Palazzo Chigi. Una sorta di “tavolo permanente di maggioranza”, lo definiscono nel Carroccio, dove si avverte del resto anche un’altra esigenza: isolare Giorgia Meloni, differenziare le prerogative del “centrodestra di governo” da chi invece sta all’opposizione. Perché la guerriglia di logoramento che FdI può esercitare ai danni della Lega, su una materia come la concorrenza, è enorme: aizzare ognuna delle categorie coinvolte contro quel traditore di Salvini. Lunedì prossimo, con la mozione alla Camera contro la Bolkestein depositata dai meloniani, si partirà coi balneari. E sarà solo l’inizio. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.