La resa dei conti

Di Maio assediato da Conte: "Che fa: mi caccia?". Ma per lo statuto M5s è quasi impossibile

Intanto l'ex capo politico raccoglie la solidarietà dagli altri partiti. Qualsiasi mossa diventa complicata. Scissione lontana: "Noi non ce ne andiamo"

Simone Canettieri

L'ex premier all'attacco del ministro degli Esteri dopo il cortocircuito su Elisabetta Belloni. Nervi tesi. Presto un'assemblea

Che fa: mi caccia? Luigi Di Maio non è Gianfranco Fini, e però il clima di tensione nel M5s somiglia a certe atmosfere già viste. Che si ripetono sotto forma di farsa. Giuseppe Conte dice che il ministro degli Esteri “dovrà chiarire davanti agli iscritti”. E così l’avvocato del popolo diventa pretore.   Il gioco del Quirinale è stato il primo congresso del M5s con esiti interni devastanti e grotteschi. Il bombing #DimaioOut viene vissuto dal diretto interessato (che conosce queste tecniche da dentro) come “una macchina del fango” orchestrata da profili fake su Twitter. Intanto ecco Renato Brunetta, Maria Elena Boschi, Andrea Marcucci, Alessandro Cattaneo pronti a solidarizzare con il Boris Pasternak del M5s. Il mondo libero è con Di Maio?  

  
Il quadro è chiaro tutti, o quasi. Giuseppe Conte pensa (con qualche ragione) di essere stato sabotato nella trattativa per candidare Elisabetta Belloni da Luigi Di Maio, che ha giocato di sponda con pezzi del Pd (come il ministro Lorenzo Guerini, dicunt) e con Matteo Renzi. Di Maio   dice che a Conte manca il quid (eterno ritorno del già visto) per essere un leader. In mezzo, c’è Beppe Grillo che dopo settimane di silenzio sui fatti del Colle ha fatto una figura abbastanza barbina. Venerdì sera stava in montagna con la famiglia, Conte lo ha chiamato per dirgli che l’accordo sulla responsabile degli 007 “era chiuso” e gli ha chiesto di uscire con un tweet pubblico che doveva essere definitivo: “Benvenuta signora Italia”.

 

Peccato che nel frattempo il nome di Belloni fosse già saltato. Questo incidente e le successive ricostruzioni hanno fatto il resto: guerra termonucleare. Anche perché nel grande gioco del Quirinale si sono create strane coppie. Come quella fra Enrico Letta, segretario del Pd, e Luigi Di Maio, che sulla carta rappresenterebbe l’ala centrista che guarda a destra del Movimento (al contrario di Conte, che ha flirtato con Matteo Salvini, nonostante si senta “un sincero progressista”). Entrambi, Di Maio e Letta, avevano per motivi diversi come prima opzione lo stesso nome: quello di Mario Draghi.

 

La settimana scorsa tutti i giorni le truppe parlamentari contiane e quelle del M5s si sono sfidate con il pallottoliere in mano. “Saranno a malapena una quarantina i parlamentari vicini a Luigi”, raccontava Gianluca Castaldi, senatore nell’orbita dell’ex premier. “Siamo almeno il doppio, anzi quasi il triplo”, è stata invece la risposta filtrata per tutti questi giorni dallo staff del ministro degli Esteri, con tanto di nomi e cognomi. Divorzio all’italiana, parenti serpenti, speriamo che sia femmina (ma anche no): la filmografia non manca. E meno male.

 
Conte e Di Maio hanno seguito tutte le votazioni da stanze diverse. Il primo stava negli uffici del M5s alla Camera, il secondo da Luigi Iovino, giovane deputato campano e subito pronto a immolarsi   per la causa. Da domenica girano veleni e parole in libertà. Il ministro degli Esteri pensa di essere finito in una macchina del fango orchestrata dai finti profili su Twitter (dinamiche che conosce). Conte, con tanto di studi e interventi di analisti, fa sapere che lui non c’entra nulla: è stata la mano della rete, delusa da Di Maio. Parlamentari di una e dell’altra sponda scazzottano per il caro leader. Federico D’Incà, ministro con gli occhialini e grillino mite, si spende per una “mediazione”. Che forse potrebbe avvenire nell’assemblea congiunta in programma nei prossimi giorni. In teoria, almeno. Come potranno mediare due che non si stimano e cercano di affossarsi a vicenda?

 

Tecnicamente, statuto alla mano, il capo politico del M5s può fare poche mosse dirompenti. Potrebbe aprire un procedimento disciplinare nei confronti del ministro per portarlo all’espulsione. Ma nel collegio dei probiviri siedono, fra gli altri Riccardo Fraccaro e Fabiana Dadone, che difficilmente prenderanno una posizione. Inoltre il secondo grado del tribunale interno grillino (il comitato di garanzia) è presieduto proprio da Di Maio, in compagnia di Virginia Raggi (che non ama l’ex premier) e Roberto Fico (neutrale come la Svizzera). Dunque questa è da scartare. Conte pensa e fa girare l’idea che la rete possa sfiduciare il titolare della Farnesina con il vecchio istituto del recall. Ma il premier Draghi poi si atterrebbe al volere del web?

 

Infine, ma questo scenario al momento non c’è, Conte potrebbe domandare sempre agli iscritti di votare sulla permanenza del M5s nel governo. Idea bocciata da chi parla con Stefano Patuanuelli: “Siamo nel governo per rafforzarlo, e non per indebolirlo”. Per il resto sono minacce, voci incontrollate su scissioni parlamentari, avvertimenti su ricandidature che non avverranno per chi non si comporta bene. Il Pd assiste a questa nube tossica e viene animato da una gran voglia di proporzionale. Con Enrico Letta che intanto iniziare a farsi venire la voglia di congresso anticipato. Democratiche sirene da scacciare. Per ora.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.