Il premier Palomar

La candidatura di Draghi si rafforza nel silenzio. A Palazzo Chigi è ipotesi Colao

Carmelo Caruso

Prepara il Cdm per scongiurare il caro bollette (tra le proposte le aste Ets) e scruta le mosse dei partiti da lontano. Per sostituirlo si fa sempre più consistente l'ipotesi del ministro della Innovazione Tecnologica e digitale

Come il signor Palomar di Italo Calvino, Mario Draghi si è “tolto” il naso e la bocca. E infatti non vuole annusare il Quirinale, non mastica i retroscena che, avrebbe scritto ancora Calvino, “fanno della vita un riflesso di un riflesso”.  Giovedì potrebbe presiedere un Cdm sul caro energia. Si immerge e sprofonda dunque nel lavoro proprio come Palomar che toglieva le “barbe dai prati” e osservava il geco del suo terrazzo, ma per abolire le sensazioni. Sta quindi mettendo in pratica l’arte della scomparsa che fu il dispositivo, ma finale, l’enigma, del suo professore Caffè e fa finta di non sentire la notizia. I partiti si stanno convincendo che un altro Draghi dopo Draghi, a Palazzo Chigi, esiste. Si chiama Vittorio Colao.


E se Mario Draghi avesse trovato la formula? Fuori dal mondo per restare in contatto con il mondo, nessun commento sul Quirinale perché “adesso tutto quello che c’è da dire è non dire”.

 

E’ tacendo che Draghi sta parlando perché, come il signore che si era inventato Calvino, il signore che voleva cancellare la chiacchiera, anche lui “spera che il silenzio contenga qualcosa di più del linguaggio” e perché “in un paese in cui tutti proclamano opinioni, il signor Palomar si morde la lingua tre volte. Se al terzo morso è ancora convinto di quello che stava per dire, la dice altrimenti sta zitto. Di fatto passa settimane in silenzio…”.

 

C’è, da quella scorsa, almeno dal momento successivo alla conferenza stampa, quella del suo “mi scuso”, un potente telescopio che è stato collocato a Palazzo Chigi. Ogni sera Draghi lo punta sui partiti che sono i pianeti, i suoi corpi lontanissimi, da “rispettare silenziosamente”. Le manovre di Berlusconi vengono osservate perché sono le azioni del “politico formidabile”. Le preoccupazioni di Matteo Salvini sono quelle “di un leader che sarà decisivo come decisivo è stato il suo ingresso al governo”. Dal M5s, e da quel satellite lucente che è Luigi Di Maio, gli arriva la rassicurazione “che il Movimento non si metterà mai contro la sua elezione al Colle”. Nel Pd pulsa invece la stella di Enrico Letta che ripete “abbiamo bisogno di te, decidi tu dove”. Ma subito vicino, anzi, vicinissima, c’è la “cometa Franceschini” che potrebbe precipitare sul Parlamento in seduta comune. E’ uno di quei ministri che vuole rassicurazioni sul dopo come le pretende Andrea Orlando che ha l’abitudine di leggere l’universo come faceva Lévi-Strauss, l’antropologo che analizzava i popoli e le comunità con  metodo. La politica è per Orlando la “struttura” e quindi, spiega, “attenti, a mettere in discussione la struttura di governo”.


Ecco perché Draghi si concentra sui dettagli e, sempre come il sig. Palomar, salverebbe solo gli occhi che gli servono per leggere le proposte di Daniele Franco. Raccontano che lui stesso, insieme al suo ministro, studia il “meccanismo delle aste Ets”, quel meccanismo che impone la vendita di quote di emissioni di CO2 alle imprese in cambio di introiti, “perché così scongiuriamo il caro energia”. E come i petali della possibilità analizza i suggerimenti dei suoi dicasteri: tassare i profitti extra delle grandi aziende energetiche oppure, perché no,  servirsi del gettito, ancora extra, delle accise.


E ragiona sullo scostamento di Bilancio, sul miliardo e mezzo di euro da destinare invece alle imprese colpite dalle nuove misure pandemiche. Garantiscono che sia grazie a questa fatica che Draghi riesce ad allontanarsi dalle cose che “non sono le cose”.

 

Trova nel lavoro il ristoro che non gli può dare il sonno di queste sere e nel sonno il tormento che solitamente provoca il lavoro di questi giorni. E insomma, sempre come Palomar, che cercava la sua pantofola complementare, quella giusta da calzare, pure i partiti cercano il suo sostituto a Palazzo Chigi, malgrado dicono “non può andarsene”, disegnano la sagoma del Draghi spaiato, quello che potrebbe prendere il suo posto.

 

E’ da giorni che gira il nome di Colao che è tecnico come Franco ma meno timido di Franco. A Palazzo Chigi lo chiamano “l’uomo del green pass”, “mister Pnrr”. Era stato l’uomo della commissione voluta da Giuseppe Conte, quello degli Stati generali, quello che si credeva Mitterrand. Si sono passati il testimone con Draghi ed è curioso come Conte, che voleva a tutti i costi apparire, sia riuscito a scomparire sul serio, mentre Draghi, che vuole scomparire al momento, sia “il nome destinato a comparire al momento esatto. Bisogna solo attendere” rivelano tutti i parlamentari di Lega, Pd, fino a quelli di Forza Italia.

 

Ebbene, c’è qualcosa di politicamente sapiente in questo premier che non vuole interrogarsi su cosa il destino  gli prepara.  Esce da se stesso come faceva appunto Palomar, il signore che guardava fisso una sola onda, una solamente convinto che fosse quella “la chiave per padroneggiare la complessità del mondo riducendola al meccanismo più semplice”.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio