(foto d'archivio)

Torna Berlusconi e con lui i vecchi antiberlusconiani. E ci sentiamo di nuovo giovani

Andrea Minuz

Le copertine apocalittiche dell'Espresso. Il ritorno del popolo viola. D'un tratto il 2022 sembra il 1994. E ci ricordiamo perché facevamo il tifo per il Cav.

Grazie al Cav. e alla sua dadaistica candidatura al Colle che ci fa sentire di nuovo giovani, come se il tempo non fosse mai passato. Forever pischelli. Grazie allo spettro del Cav. al Quirinale ritorna l’antiberlusconismo più vintage, si dimentica per un po’ il Covid e si pesca tra i ricordi, come in una nuova stagione di “Anima mia” o una puntata di Techetecheté. Ritornano le mobilitazioni antifasciste, il conflitto di interessi, gli appelli degli intellettuali, gli editoriali allarmati, le copertine apocalittiche dell’Espresso. Ritorna il “popolo viola” nelle piazze belle e democratiche, anche se distanziate. E’ di nuovo il 1994, al cinema fanno “Pulp Fiction” e il “Re Leone”, Senna e Schumacher corrono ancora, niente Netflix la sera ma Vhs dell’Unità selezionati da Veltroni. Contro Berlusconi al Quirinale si ricompatta quel che resta della nostra “meglio gioventù”. Il Fatto, arrivato troppo tardi, recupera finalmente la sua prima stagione di antiberlusconismo mancato: pubblica a puntate l’epopea del Cav. raccontata da Travaglio, ora anche in formato podcast, e lancia una petizione su change.org. Su Rousseau, nel frattempo, si attendono sviluppi. E poi naturalmente scrittori, blogger, attivisti ecologisti, tante “nuove soggettività”.

Adesso il Cav. è una minaccia anche per il clima. Trent’anni fa non l’avevamo capito, ora è chiaro che con lui al Quirinale finisce come in “Don’t Look Up”. Ma noi vogliamo un’altra giacca marrone di Occhetto, vogliamo lo stupore e l’incredulità dei giornalisti stranieri che hanno già chiamato al telefono Ezio Mauro per chiedere se è vero, vogliamo un contratto con gli italiani in una story su Instagram con Bruno Vespa disintermediato. Su Instagram, intanto, l’Espresso ripubblica un pezzo assai profetico del 7 gennaio 1994 dell’allora direttore, Claudio Rinaldi, scritto quindi prima dell’annuncio della “discesa in campo”. Si intitolava “Nove ragioni per diffidare di Berlusconi”. Leggiamo dalla nona: “Se davvero il cavaliere andasse al governo, molti apparati dello stato, dai carabinieri alla Guardia di finanza, verrebbero a essere gestiti in ultima istanza da un soggetto che, in quanto imprenditore, dovrebbe essere sottoposto alla loro vigilanza”. “In quanto imprenditore”, insomma, doveva avere a che fare con i carabinieri in altro modo (come suggerirà poi Asor Rosa nella memorabile invocazione golpista sul Manifesto). E subito, in questo magnifico revival, ci ricordiamo come mai facevamo il tifo per lui.