Da sinistra: Cecilia D'Elia, Simonetta Matone e Valerio Casini (Foto Ansa/Facebook)

La politica delle rane

Dopo la fiction di Calenda vs Conte, per il collegio Roma 1 corrono tre semisconosciuti 

Salvatore Merlo

Le suppletive nella Capitale rivelano la distanza tra le sparate dei politici e la realtà. Doveva essere la Lepanto della democrazia e invece niente. Per il seggio lasciato vacante da Gualtieri i candidati saranno Cecilia D’Elia, Valerio Casini e Simonetta Matone

Doveva essere la Lepanto della democrazia, per giorni qui s’erano affrontate a parole la destra e la sinistra, il populismo e l’antipopulismo, due ipotesi divergenti di futuro, Conte e Calenda, con quello che urlava gonfio come una rana “che fai scappi?” e l’altro che rispondeva “veramente sei tu che scappi”. Tutti con il petto in fuori. Tutto un cinema. Virato al kolossal, ovviamente. I milites (vana)gloriosi. Insomma sembrava sul serio il derby d’Italia, l’elezione delle elezioni, il momento fatale. Per un posto da deputato alle suppletive nel collegio Roma 1 della Camera, pieno centro della capitale, dovevano d’altra parte affrontarsi – niente meno – un ministro in carica (Elena Bonetti), un ex presidente del Consiglio (Giuseppe Conte) e un ex ministro e leader di partito e candidato sindaco ed eurodeputato (Carlo Calenda). Lo scontro finale. Come nei film di Rocky. E invece? E invece niente.

 

Dopo essersi sfidati e insultati, dopo mille contorsioni pubbliche, dopo aver alimentato tv e giornali, ecco che si sono ritirati tutti. A riprova dello iato che ormai nella neopolitica italiana separa irrimediabilmente la rappresentazione dalla realtà, lo spettacolo comunicativo dalla verità delle cose, la distanza tra quello che questi politici dicono e quello che poi  fanno. Non bombe, ma petardi. Insomma, fumo. E infatti nel collegio di Roma 1 si candideranno alla fine solo tre bravi semisconosciuti: Cecilia D’Elia, Valerio Casini e Simonetta Matone. Viene da chiedersi come si sentono gli elettori del centro di Roma. Delusi o sollevati d’aver schivato la guerra epocale?

 

Per Giuseppe Conte era la mossa del coraggio, la sfida a Luigi Di Maio che gli voleva (e vuole) fare le scarpe nel Movimento: mi candido a Roma, vinco, entro in Parlamento e te la faccio vedere io. Al punto che nel racconto ovviamente epico che ne faceva l’entourage grillino, questa di Conte era all’incirca l’ultima formidabile trovata di quell’indubitabile genio (e Machiavelli apulo) noto con il nome di Rocco Casalino. Spedire Giuseppi alla Camera per contrastare Luigi con i voti del Pd. Sai che idea. Il grande rilancio. La vittoria a un passo. Mesi di riunioni. Capannelli. Suggestioni. Minacce. Retroscena. E poi? E poi... niente. Puff.

 

Esattamente come Calenda detto bum-bum. Scatenato, irrefrenabile, l’unico capace di saltare come un tordo sulle siepi da un’elezione a Bruxelles a una in Campidoglio e poi, quasi senza soluzione di continuità, fino a quella che doveva essere la sua Roncisvalle dell’antipopulismo, la battaglia di Roma 1, appunto: il climax eroico d’una vita vissuta al di sopra del rigo (e dei centoquaranta caratteri di Twitter). Voleva sfidare Conte, “quel trasformista campione di populismo”. Già pregustava lo spettacolo della sua eterna fiction gladiatoria (e noi con lui). Ma niente. Smosciato come un sufflé. Non è rimasto nessuno a Roma 1. Nemmeno la ministra Elena Bonetti, incautamente rovesciata da Matteo Renzi sul campo per indispettire non tanto Conte ma il Pd e Calenda (in teoria suo alleato). Una candidatura che era un cinema nel cinema, una sottotrama dell’eterna storia d’odio-amore che sconquassa questo incongruo centro politico di Calenda e Renzi. In due, insultandosi con impegno, fanno un centro che non riesce nemmeno a esprimere un candidato al centro (di Roma). Così alla fine restano i tre semisconosciuti in gara. I tre candidati inattesi. Restano loro, insieme alla sensazione diffusa che gli elettori del collegio Roma 1, zona ricca e di sinistra, vengano trattati (dalla sinistra) come le scimmiette ammaestrate che “tanto votano qualsiasi cosa gli presentiamo”. Che sia lo scontro fra i titani o fra i lillipuziani. Macachi sono. 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.