la presentazione del libro

Bettini, Augello e la politica: una passione agli antipodi. L'incontro a Roma

Gianluca De Rosa

Insieme a Storace e Quagliarello, l'ideologo dem interviene alla presentazione del libro dell'ex senatore di An dedicato al fratello Tony. Prevale la stima reciproca e una certa nostalgia per i tempi andati. Piovono critiche per i tecnici, ma non si risparmiano neppure ai sovranisti

Quando Goffredo Bettini finisce il suo lungo intervento citando uno dei canti pisani di Ezra Pound. “Fare è onorare la vita, fare è assumersi la responsabilità di esistere, fare è corrispondere all'energia interiore che ti apre agli altri e al mondo”, il giornalista che modera l’incontro, Luca Telese, non può evitare di dirlo: “Nel libro di Augello si parla di offensiva gramasciana, Bettini cita Pound, qui rischiamo di cadere nello stereotipo del ‘carissimo nemico’”. Siamo a Roma, II municipio, piano -1 dell’hotel Albani nel quartiere Italia. Si presenta il nuovo libro di Andrea Augello “C’era una volta mio fratello”, la storia di due fratelli, Andrea e Tony appunto, ma anche della passione comune di una vita intera: la politica. 

 

Platea e palco dicono già molto. Ad ascoltare ci sono il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Francesco Lollobrigida, la consigliera regionale di Fd’I Chiara Colosimo e il consigliere capitolino Stefano Erbaggi, ma anche il segretario del Pd Lazio Bruno Astorre e l’assessore alla Cultura della giunta Gualtieri Miguel Gotor. A dialogare con l’autore: Francesco Storace, Gaetano Quagliariello, ma anche, e forse soprattutto, Goffredo Bettini. Protagonista, dal lato opposto, di una stagione politica romana, ma non solo. Oggi ancora avversario, ma come dice proprio Bettini con gli anni che passano “Sempre più gentile: ai fratelli Augello mi lega da tre decenni una strana ma intensa e profonda amicizia”. È un amarcord, il racconto di una passione agli antipodi, ma che origina dalle stesse esigenze, dagli stessi bisogni che hanno portato i fratelli Augello e Storace “nel più grande partito neofascista d'Europa” e Bettini nel “più grande partito comunista d'Europa”. Tutti concordano su questo fatto, spiegazione allo stesso tempo dei duri scontri di allora e del comune sentire di oggi: la passione politica come scelta e urgenza prepolitica. Lo ricorda Bettini: “Se per Andrea e Tony fu lo slancio di solidarietà verso un amico aggredito o verso il fratello malmenato a decidere da che parte stare, per me fu il rifiuto della forza che schiaccia la debolezza. Il loro e il mio, come di tanti altri giovani di allora, furono itinerari di riscatto personale”. Lo conferma anche Quagliariello, l’uomo in mezzo: “Era la contingenza che ti portava in un campo o nell’altro: io mi iscrissi ai giovani repubblicani per caso. A Bari era l’unica scelta per chi non voleva essere né comunista, né fascista. All’epoca – continua – c’erano dei mondi non dei partiti, mondi di cui i partiti facevano parte, ma erano una cosa più amplia, più avvolgente, cose che leggendo i politologi non si capiscono”. 

 

Questa improbabile amicizia, questa “tenzone”, come dice Bettini usando apposta una parola dal sapore cavalleresco, si basa su queste radici comuni. “Non riferibile – sottolinea –, tuttavia a quella marmellata di rapporti tra politici occasionali, sculettanti, superficiali che si consumano negli incontri del Transatlantico, quella confidenza di tutti con tutti dovuta alla sensazione di essere un ceto in qualche modo privilegiato. Con Tony, e poi anche con Andrea, vi era una sorta di intesa sulla natura della politica, legata indissolubilmente ad una dimensione ideale che essa deve contenere per non trasformarsi in tecnica di gestione, di potere e persino di affarismo”.

 

I ricordi diventano inevitabilmente un’occasione per parlare anche della politica di oggi. “Che cos’è rimasto?”, si chiede Bettini. La politica è destinata a ridursi ad una dimensione di pura gestione del potere? Le difficoltà dei partiti sono un destino da accettare con realistica rassegnazione oppure sono una condizione transitoria? “Senza la politica – dice – c'è il comando della tecnocrazia”. Per questo auspica che Draghi non diventi la regola. “All'emergenza si è risposto con un governo di emergenza. Eppure guai a considerare questa transitorietà un'eccezione che deve durare per sempre. C'è bisogno di dare voce a quei sentimenti contrastanti che gli italiani coltivano e che se non rappresentati non potrebbero che ingigantire le torbide acque della rabbia e della violenza eversiva”. Proprio su questo Augello suggerisce Giorgia Meloni. “La politica o è una grande avventura, un grande sogno o è una schifezza. Non si può essere avari di storie da raccontare, va bene dichiararsi patrioti, ma non nelle segreterie e nel tran tran delle preferenze dei municipi. Serve ritrovare un impegno per cui valga la pena di vivere o morire, non stancarsi a cercare un bandolo alla società liquida”. 

 

Sullo sfondo c’è la Capitale. Bettini fu l’inventore del ‘modello Roma’ di Francesco Rutelli e Walter Veltroni. Tony Augello, come ricorda Storace, l’uomo che convinse Gianfranco Fini a candidarsi sindaco “a capire l’esigenza di una destra che sapesse governare portando i suoi uomini migliori, convincendosi che la sinistra al governo non era un destino ineluttabile”. Bettini ha ricordato quegli anni capitolini. “Con Tony mi capitava di duellare con toni accesi, ma anche con sferzante ironia, in consiglio comunale. Sfottendo la sinistra disse che essa, per quello che io ero riuscito a realizzare a suo vantaggio, avrebbe dovuto mettermi al posto di Marco Aurelio, sul cavallo che sta nel mezzo di Piazza del Campidoglio. Aggiungendo note di pietà per il povero cavallo”.

 

E lo storico segretario del Pds romano rende onore al vecchio avversario. “La sinistra ha vinto quando è riuscita a catturare la parte moderata della borghesia benestante e un po' gaudente. Rutelli fu questo. Il ‘modello Roma’ fu questo. Così come ha vinto la destra quando ha compreso le debolezze del nostro radicamento sociale. Tony studiò, direi persino a tavolino, il modo di rincontrarsi con le varie e differenti sofferenze sociali ed esistenziali dei romani. Mappando il disagio con programmi settoriali, riconducendoli solo dopo ad un discorso unitario. Così è nata la grande rivincita di Storace nel Lazio”.

 

Le conclusioni sono degne del filo emotivo dell’incontro. “La nostra generazione – dice Bettini – ha speso la vita nell'impegno pubblico. Allontanandoci talvolta dalla vita stessa. Per me è un rammarico. Perché proprio la vita è la vera sostanza di tutto. Non nella vanità dei grandi atti, dei grandi sogni, delle grandi idee consolatorie”. A confortarlo ci pensa proprio il vecchio avversario e autore del libro: “Abbiamo perso molto, ma abbiamo fatto le nostre scelte e quindi va bene così”.