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Nel Pd s'alza il coro di chi vuole un Draghi bis dopo il 2023

Valerio Valentini

Tra Nazareno e Transatlantico. Un girotondo tra i dem che tifano per la permanenza del premier a Palazzo Chigi oltre le prossime elezioni. L'incognita delle legge elettorale, i ripensamenti possibili di Letta sul bipolarismo, l'agenda dei riformisti. E nella segreteria c'è anche chi dice: "Avanti con Supermario"

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Lui che la suggestione l’ha lanciata per primo, un po’ come si lancia un sasso nello stagno, a vederla riproposta con così tanto entusiasmo dagli industriali italiani, sente adesso il dovere di precisare. “Ma la mia idea prescinde, almeno in parte, dalla necessità di confermare a Palazzo Chigi Mario Draghi”, dice Enrico Morando. “Certo, sarebbe una prospettiva eccellente. Ma ciò che più mi preme – prosegue l’ex viceministro dell’Economia – è ‘draghizzare il Pd’, fare del nostro partito l’asse fondamentale dell’agenda del premier”. Insomma, citofonare Nazareno. Solo che al Nazareno, a ridosso delle amministrative, di spostare lo sguardo troppo più in là, comprensibilmente hanno poca voglia. “Non è il momento”, è l’obiezione con cui un po’ tutti si schermiscono. E allora onore a Chiara Gribaudo, esponente della segreteria del Pd  che invece non si sottrae. “Draghi sta ricostruendo l’immagine dell'Italia nel mondo”, dice la deputata. “In Europa e in sede di G20 il premier è diventato un punto di riferimento, specie alla vigilia elettorale in Germania e Francia. L’Italia ha l’occasione di riportare l’Europa al baricentro mediterraneo e di essere avanguardia nella costruzione di un’Unione più integrata dal punto di vista dei diritti sociali e della politica estera”.

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Lui che la suggestione l’ha lanciata per primo, un po’ come si lancia un sasso nello stagno, a vederla riproposta con così tanto entusiasmo dagli industriali italiani, sente adesso il dovere di precisare. “Ma la mia idea prescinde, almeno in parte, dalla necessità di confermare a Palazzo Chigi Mario Draghi”, dice Enrico Morando. “Certo, sarebbe una prospettiva eccellente. Ma ciò che più mi preme – prosegue l’ex viceministro dell’Economia – è ‘draghizzare il Pd’, fare del nostro partito l’asse fondamentale dell’agenda del premier”. Insomma, citofonare Nazareno. Solo che al Nazareno, a ridosso delle amministrative, di spostare lo sguardo troppo più in là, comprensibilmente hanno poca voglia. “Non è il momento”, è l’obiezione con cui un po’ tutti si schermiscono. E allora onore a Chiara Gribaudo, esponente della segreteria del Pd  che invece non si sottrae. “Draghi sta ricostruendo l’immagine dell'Italia nel mondo”, dice la deputata. “In Europa e in sede di G20 il premier è diventato un punto di riferimento, specie alla vigilia elettorale in Germania e Francia. L’Italia ha l’occasione di riportare l’Europa al baricentro mediterraneo e di essere avanguardia nella costruzione di un’Unione più integrata dal punto di vista dei diritti sociali e della politica estera”.

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Allo scenario internazionale guarda anche Stefano Ceccanti, deputato e costituzionalista dem. “Nel rispetto delle volontà del diretto interessato, e comunque non prescindendo da un passaggio chiaro davanti agli elettori,  direi che la centralità che l'Italia, con Draghi a Palazzo Chigi, sta conquistando in Europa,  è un patrimonio che è bene sfruttare ben oltre la scadenza elettorale del 2023”. Tesi analoga a quella sostenuta da Andrea Romano, portavoce nazionale della corrente riformista del Pd. “Io mi concentrerei – precisa – sulla sostanza dell’‘agenda Draghi’, che è già ora la linea fondamentale di divisione tra una politica che lavora per costruire e una che lavora per distruggere. E come tale, l’‘agenda Draghi’ può essere il riferimento  anche per le prossime elezioni”. E allora Gribaudo, deputata di rito orfiniano, guarda agli obiettivi da perseguire, fino al 2023: “Per rispettare le scadenze del Pnrr, Draghi è la miglior garanzia in Italia e nel mondo. Le riforme che  stiamo approvando, ad esempio sulla giustizia, erano attese da decenni, e quelle in arrivo non sono meno urgenti. Insomma, andiamo avanti con Supermario”.

 

Scenari, certo. Che anzitutto escluderebbero l’ipotesi di un’ascesa di Draghi al Quirinale. E che, in secondo luogo, pongono il grosso interrogativo della legge elettorale. “Affermare che il ritorno al proporzionale sia necessario per la permanenza di Draghi a Palazzo Chigi – osserva ancora Morando, cinque volte senatore e tra i padri fondatori del Pd – serve  anche a non prendere contezza che, con la Lega in maggioranza, approvare un proporzionale puro come premessa di un’alleanza ‘Ursula’  è velleitario”. E però va pur osservato che ipotizzare un Draghi leader di una coalizione rossogialla, in cui in tanti continuano a rimpiangere i bei tempi andati del contismo, pare azzardato. Certo, ha forse ragione Andrea Ferrazzi, altro senatore dem che guarda con favore a un eventuale Draghi bis (“Se nel 2023 dovesse emergere una sua disponibilità,  andrà presa in seria considerazione”), quando dice che il premier, pur essendo alla guida di un governo trasversale, “ha marginalizzato le politiche populiste di una parte del M5s e quelle sovraniste di Salvini, e insomma facendo bene all’intero sistema politico italiano, stabilizzandolo su una linea europeista e riformista”. Ma è pur vero che il ritorno al bipolarismo di vecchia data predicato da Letta sembra complicare l’ipotesi di un Draghi bis. E infatti Bruno Astorre, colonnello franceschiniano, dice che “il Pd deve avere sempre più voce in capitolo nella costruzione dell’agenda Draghi”, ma chiarisce che  “dopo questa parentesi straordinaria si dovrà tornare alla normale dialettica politica, come accade nei comuni e nelle regioni“.

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E però c’è chi dice che questa impostazione, che è servita al segretario per rassicurare un elettorato disorientato dalla convivenza al governo con la Lega, proprio dopo i ballottaggi verrà rimessa in discussione. C’è non a caso chi, come il gueriniano Alessandro Alfieri, all’ultima direzione nazionale ha avvertito che “servirà un bipolarismo meno muscolare per aprire  il cantiere della legge elettorale e il gioco delle alleanze per il Colle”. Ed è lì, nella ridefinizione dei perimetri tra le coalizioni, nell’apertura al centro e  a pezzi di FI, che il Draghi bis potrebbe  diventare qualcosa di più di un sogno proibito. E allora potrebbe trovare fondatezza anche la convinzione di Andrea Marcucci, secondo il quale, “se il Pd risolve le sue ambiguità e diventa il partito del premier, dalle elezioni del 2023 una netta maggioranza ‘draghiana’ potrà comunque venir fuori”. Chissà.
 

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