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L'autodiktat (o vinco o lascio)

Il percorso di guerra di Enrico Letta nella Siena "chiodo fisso"

Marianna Rizzini

Il fantasma del Monte Paschi, il rapporto con i renziani, i campanilismi, la campagna tra varie fatiche di Ercole

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Per lui (Enrico Letta) esiste solo lei: Siena. E si capisce che quello che a inizio estate era parso un difficilissimo personale palio per il segretario Pd – il palio delle suppletive nella città che già aveva complicato la vita all’ex ministro Pier Carlo Padoan – si è trasformato in un percorso di guerra in cui non ci si può permettere di perdere (eventualità improbabile) ma neanche di vincere per un soffio (eventualità possibile), pena la spiacevole sensazione di aver combattuto al contrario la battaglia di Davide contro Golia (come nota un osservatore toscano: “Può un segretario del Pd non trionfare contro quello che rispetto a lui è un mister Nessuno, cioè l’imprenditore Tommaso Marrocchesi Marzi? Non sarebbe un bel colpo di immagine”).

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Per lui (Enrico Letta) esiste solo lei: Siena. E si capisce che quello che a inizio estate era parso un difficilissimo personale palio per il segretario Pd – il palio delle suppletive nella città che già aveva complicato la vita all’ex ministro Pier Carlo Padoan – si è trasformato in un percorso di guerra in cui non ci si può permettere di perdere (eventualità improbabile) ma neanche di vincere per un soffio (eventualità possibile), pena la spiacevole sensazione di aver combattuto al contrario la battaglia di Davide contro Golia (come nota un osservatore toscano: “Può un segretario del Pd non trionfare contro quello che rispetto a lui è un mister Nessuno, cioè l’imprenditore Tommaso Marrocchesi Marzi? Non sarebbe un bel colpo di immagine”).

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Letta al momento gira attorno a un numero (18 per cento), motivo per cui una sottile preoccupazione si fa strada, tantopiù in un momento in cui, tra amministrative ed equilibri governativi, il segretario del primo partito del centrosinistra potrebbe o dovrebbe, a seconda dei casi, pensare ad altro. Ma Siena è Siena, nonostante la città sia per Letta un territorio per così dire straniero, per un pisano come lui, e nella Toscana dei campanilismi. E dunque il segretario, due mesi fa, all’avvio della campagna, aveva lanciato l’auto-diktat: o vinco o lascio. “Faccio questa battaglia con grande determinazione”, aveva detto in quel di Montalcino, dichiarandosi “convinto di poter vincere” con una sorta di programma di assertività (“sono abituato a essere di parola. Se perdo ne trarrò le conseguenze: esistono i si e i no. E l’ho già fatto una volta”) e al grido di “voglio vivere questa esperienza con un’attenzione profonda”.

 

Eppure Siena era la città in cui l’ex premier Giuseppe Conte era caduto anche soltanto come ipotesi: alla sola idea di vederselo candidato nella città del palio, il sindaco di Firenze Dario Nardella non si era potuto esimere dall’esprimere perplessità: “Vedevo meglio la sua candidatura a Roma”. E l’ex segretario pd Nicola Zingaretti non era parso entusiasta: “Rispetteremo l’autonomia dei territori”, era stata la frase tombale. E se per Maria Elena Boschi, capogruppo di Italia Viva alla Camera, il discorso riguardo a Conte era “prematuro”, il collegio vacante era tornato alla ribalta quando Letta in persona, mesi dopo, si era buttato nella tenzone, forse sperando che il fantasma del Monte Paschi, sempre incombente sulle spalle dei candidati, non si posasse sulla sua con prepotenza (e però ventiduemila dipendenti del Monte Paschi sono lì, votano e attendono risposte). Proprio per evitare scontri pericolosi sul tema, dicono a Siena, città amministrata dal centrodestra, Letta ha dapprima combattuto “tiepidamente”, su argomenti meno divisivi, per poi farsi vedere sempre più spesso a contatto con i cittadini, soprattutto nelle piazze della provincia, onde rinforzare il consenso per il seggio che l’ex ministro Padoan aveva ottenuto passando attraverso varie fatiche di Ercole. Quelle che ha attraversato anche lui, Letta, a partire dai rapporti in loco con Italia Viva, partito che a Siena ha raggiunto il 6,7 per cento alle regionali. E lo si è visto subito: non appena Letta ha ufficializzato la candidatura, il plenipotenziario renziano Stefano Scaramelli ha obiettato sul Corriere della Sera: “Non si costruisce un’alleanza con una telefonata”. Non si temono, in loco, colpi di testa a Cinque stelle, tuttavia la questione identitaria è emersa, tanto che a un certo punto dell’estate il segretario del Pd ha comunque deciso di rinunciare in qualche modo a se stesso, cioè al logo del partito, per privilegiare le parole “con Enrico Letta”. Scelta fatta, diceva, per facilitare “ allargamento e spirito di coalizione”, insistendo sul profilo più neutro da papa straniero: “E’ un tale privilegio tentare di rappresentare questa terra, c’è voglia di rendere il Pd e il centrosinistra più forti, c’è voglia di battere la destra che in Toscana ha preso troppo piede. Mi ci impegno, un grande impegno nazionale”. E due giorni fa, durante un confronto con gli altri candidati, Letta ha provato a volare addirittura oltreconfine, sottolineando la “cornice europea” in cui possono fiorire “le opportunità per il territorio legate al Next Generation Eu e alle prospettive di investimenti futuri”.

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